I richiami hanno le gambe corte, quando il costruttore non è organizzato o quando non ha abbastanza risorse per farlo. Nel caso degli scooter Kymco People che si spezzano, lo avevamo sospettato sin dal primo momento. E parliamo di esemplari immatricolati nel 2005-2006 con rotture iniziate nel 2007, quando non c’era nemmeno l’attenuante della crisi che avrebbe poi sconvolto mercato e conti delle aziende.
Una prima conferma venne quando finalmente l’importatore italiano della Kymco, martellato dalla pressione dei clienti e della Motorizzazione, “concesse” (in Europa, in fondo, è ancora una concessione) di richiamare gli esemplari potenzialmente difettosi: lo fece nel modo criptico che cercai di decrittarvi all’epoca e che rimase tale, perché la Motorizzazione si accontentò così.
Adesso arriva la prova del nove: una lettrice lombarda mi ha segnalato che all’epoca andò dal suo rivenditore con la lettera di richiamo e fu graziosamente tranquillizzata, convincendosi a tornare a casa senza pretendere la sostituzione gratuita (e costosa) del telaio che le sarebbe spettata per legge e che era lo scopo del richiamo. Adesso il suo scooter si è spezzato in due, fortunatamente mentre era fermo al semaforo. L’importatore si farà totalmente carico del problema (e ci mancherebbe).
Ma restano due domande.
1. Quanti altri casi del genere ci sono ancora?
2. Qual è la giusta misura da usare nelle lettere di richiamo? Va bene che non è giusto essere allarmisti, scatenando il panico. Ma anche una formulazione asciutta e tranquillizzante porta poi i clienti a sottovalutare il problema, non presentandosi affatto in officina o abboccando quando il venditore li rimanda a casa senza effettuare il richiamo.