Parla da sola questa mappa euromediterranea delle concentrazioni di ossidi di azoto, gli NOx del dieselgate, nell’aria da gennaio ad aprile scorsi: l’Italia ha l’area più estesa (la Pianura Padana) dove i livelli d’inquinamento sono i più alti. Non a caso, oggi e domani a Torino la Commissione Ue ha organizzato Clean Air Dialogue, un’iniziativa di supporto soprattutto ai sindaci. Servirà? Probabilmente no. Per rendersene conto, basta ricordare come sta finendo in Europa proprio il dieselgate.
Proprio i sindaci delle grandi città più colpite sono rimasti – per reale convinzione o per mero obbligo giuridico di fare qualcosa – gli unici a ricordarci dello scandalo. Sono le loro decisioni (e ultimamente anche il marketing delle case automobilistiche, ora che hanno riconvertito parte della produzione) a causare il calo della quota di mercato del diesel. Un fenomeno che, tra l’altro, non è positivo come si potrebbe credere: sul mercato attuale delle auto nuove, ormai, le diesel hanno il catalizzatore selettivo a iniezione di urea (Scr), finalmente imposto dalla Ue assieme alle prove di omologazione su strada, proprio a seguito del dieselgate.
Ma per il resto è buio fitto. Qualche multa qua e là (come quella al gruppo Volkswagen Italia, comminata dall’Antitrust e confermata venerdì scorso dal Tar Lazio), d’importo non paragonabile alle scoppole date negli Usa. E richiami per la maggior parte volontari, dove nella maggior parte dei casi alle case automobilistiche viene lasciata discrezionalità praticamente su tutto: dalla decisione se fare o no il richiamo a se e come pubblicizzarlo, fino a come eseguirlo. Cioè, quasi sempre, scegliendo il modo più economico: modifiche al solo software, il che non di rado comporta che dopo l’intervento i motori vadano sensibilmente peggio. Tutte cose denunciate una settimana fa da Transport&Environment 2019_05_analysis_diesel-recalls_have_stalled, senza che se ne sia parlato in giro. In questa Europa dove pure alle elezioni del 26 maggio i Verdi non hanno avuto certo un tracollo.
La sensazione è che la causa non stia solo nelle norme europee, meno severe di quelle americane (e infatti inasprite per il futuro). Probabilmente gli Stati Ue hanno anche rinunciato a calcare la mano per non dare un colpo di grazia a quella che in molti casi è la loro industria nazionale, che occupa centinaia di migliaia di lavoratori. E per evitare che, in assenza di obblighi per le case di riprendersi indietro le auto incriminate come imposto negli Usa, il conto per rimetterle a posto lo pagassero le famiglie europee, nella loro veste di consumatori, peraltro con il portafogli già colpito dalla crisi.
Sarà giusto ed etico tutto ciò? Chissà. Fatto è che questo ciò che sta accadendo. Meglio saperlo.