Sui cavilli dei controlli di velocità non si finisce mai di discutere. L’altro giorno alla Camera c’è stato un fuoco di tre risoluzioni che convergeva sul tentativo di far applicare la “regola del chilometro” anche ai controlli non automatici, cioè effettuati da pattuglie appostate ( http://www.poliziamunicipale.it/aree/attual.aspx?s=4&idt=6&id=3268 ). La legge 120/10 (articolo 25) è stata sempre interpretata dal ministero dell’Interno nel senso che riguarda solo le postazioni fisse automatiche.
Sarà che sono in ferie, ma oggi non mi va di addentrarmi in disquisizioni giuridiche. Piuttosto, voglio sottolineare che ancora una volta cogliamo un frutto del clima che abbiamo creato: furbi molti trasgressori (per farla franca), furbi molti controllori (per fare cassa), diffidenze reciproche, scarsa comunicazione delle iniziative serie, tante ipocrisie, demagogie e pretestuosità. Così è passata l’idea che TUTTI i controlli vengano svolti SOLO per fare cassa e di sicurezza si parla solo in convegni più o meno ristretti o credibili.
In questo contesto, negli ultimi cinque anni in Parlamento ha avuto successo l’idea che – piuttosto che penalizzare chi fa cassa – andavamo ostacolati tutti i controlli di velocità, imponendo regole grottesche (presegnalazione e visibilità degli apparecchi, obbligo di piazzarli almeno un chilometro dopo il segnale di limite di velocità, sostanziale bando delle postazioni fisse dai centri abitati). E ci teniamo le dispute sui dettagli di queste regole.