Anche stavolta il marketing sta facendo effetto: la spia con la tazzina di caffè che si accende sulla strumentazione non è più una stravaganza, ma inizia a far entrare nella testa della gente che le auto (sempre più auto) possono essere dotate di rilevatori di stanchezza. E fin qui tutto bene. Il problema è che l'indubbia chiarezza grafica che quel simbolo ha può portare fuori strada (anche letteralmente) il guidatore medio. Tanto più se unita a come sono costruiti certi spot pubblicitari.
Prendiamo quello della Mercedes Classe C appena ristilizzata.
Certo, un restyling di sostanza, con tanti dispositivi avanzati di sicurezza aggiunti e poche novità di pura estetica (magari tutti i costruttori investissero così su tutti i loro modelli!). Però lo spot è giocato sul legame tra la tazzina virtuale che s'illumina nella strumentazione dell'auto e la tazzina reale che la bella protagonista si trova davanti appena entra nel locale pubblico dove decide di fermarsi (e dove l'attende un bel cavaliere anche lui stanco e dotato di Mercedes con rilevatore di stanchezza). Messaggio fuorviante: per ripartire in sicurezza non basta certo un caffè. Quello stesso caffè su cui ha puntato anche Autostrade per l'Italia facendolo offrire gratis di notte nelle aree di servizio.
Il punto è che la scienza ci racconta un'altra storia. Il caffè lascia il tempo che trova, è solo un po' meglio di rimedi del tutto inefficaci come aprire il finestrino, alzare il volume della radio e mettersi a parlare con eventuali passeggeri. Per combattere davvero la stanchezza, occorre DORMIRE. Anche per una mezz'oretta scarsa, ma dormire.