I danni della guerra giudiziaria sulle multe ai semafori cominciano a pesare sulle tasche dei protagonisti. Così vengono fuori anche storie bizzarre, come quella di un cittadino che ha vinto dal giudice di pace contro il Vistared del Comune di Porcia (Pordenone), ma ora è andato pure in appello perché le spese legali del primo grado non erano state messe a carico dell'amministrazione che ha perso (il giudice le aveva compensate tra le parti, cioè "ognuno paga per sé") e non gli andava di rimetterci 600 euro per evitare una multa di 150 (più i taglio di sei punti dalla patente).
Ancor più bizzarra è la storia di Vittorio Veneto (Treviso), dove ci sono il T-Red e un giudice di pace che si è dimostrato ben disposto nei confronti dei multati, annullando molti verbali per vari motivi (alcuni condivisibili, altri meno). Il Comune ha preannunciato appello. Ma ora il sindaco propone a tutti una transazione: pagare 150 euro di spese per non finire in appello. In pratica, è come se si pagasse la multa annullata in primo grado, solo che i soldi vanno a coprire le spese affrontate dal Comune per resistere (invano) davanti al giudice di pace. Quindi il sindaco sa che le multe non stanno in piedi giuridicamente e quindi, pensando di non avere speranza di vittoria, cerca tardivamente di non creare un buco nelle casse comunali a spese comunque di chi è stato multato ingiustamente? Oppure sente di avere ragione e fa il magnanimo per non perdere consensi elettorali, rischiando di essere condannato per aver di fatto avviato un condono, che teoricamente sottrae gettito e che lui comunque non ha il potere di istituire?