Oggi ad Avellino ci sarà l’ennesima udienza del processo sulla strage del viadotto Acqualonga sull’A16. Ma non sarà un’udienza come le altre: sarà preceduta dalla protesta dai familiari delle 40 vittime, precipitate su un bus con revisione falsa rimasto senza freni e non trattenuto da barriere in cemento che risalivano al 1988 e non si presentavano in condizioni ottimali. Secondo l’accusa (pm e periti), c’è una catena di responsabilità, per la quale però si teme un epilogo “all’italiana”: la prescrizione, visto che l’incidente risale al 28 luglio 2013 e il processo vero e proprio è iniziato solo un anno fa.
Sarebbe una vergogna: stiamo parlando del più grave incidente stradale della storia italiana (assieme al rogo del Tunnel del Monte Bianco, nel 1999), anche se non se ne ricorda più nessuno (né i media più importanti e le istituzioni si sono mai affannati a rimediare). Ma sarebbe anche la conclusione più logica: un processo con tante parti (i familiari di 40 persone e imputati della Motorizzazione, di Autostrade per l’Italia – compresi i vertici – e il titolare dell’impresa che faceva viaggiare il bus), tante perizie tecniche. Su questioni che pongono una miriade di interrogativi anche giuridici. Insomma, un bengodi per chi si sa muovere e ha potere.
Oltre a potersi pagare i migliori avvocati e periti di parte, diventa facile anche trovare testimonianze di tecnici qualificati (anche appartenenti a quelle stesse istituzioni che dovrebbero vigilare e invece hanno fatto muro di gomma sin da subito). Nel corso del processo stiamo vedendo anche questo.
Naturalmente il diritto e la Costituzione dicono che c’è presunzione d’innocenza. E gli imputati potranno anche essere assolti “con formula piena”, perché un conto e la morale e ben altro conto sono le norme e le loro interpretazioni. Ma la vicenda ha sollevato una serie d’interrogativi che consigliano di non archiviarla almeno dal punto di vista tecnico. Per capire se i requisiti di sicurezza e la vigilanza siano sufficienti, in modo che tragedie del genere non si ripetano. E per capire se davvero i soldi che paghiamo per i pedaggi (e i relativi, puntuali rincari annui) sono pienamente giustificati o servano solo a fare del settore autostradale una calamita per gli investitori, data la certezza dei profitti che garantisce.
Anche per questo i familiari delle vittime oggi protestano.