Ieri a Bergamo due persone sono morte sulle strisce pedonali, travolte da un’auto che pare andasse un po’ troppo forte. A quanto riferiscono le cronache, su quelle stesse strisce sono morte altre persone, anche di recente. Se le cose stanno davvero così, ce n’è abbastanza per installare un bel rilevatore di velocità in postazione fissa, ben visibile e presegnalato. E invece non si può: la legge 168/02 vieta i controlli di velocità totalmente automatici in città, tranne che sulle strade urbane di scorrimento (i viali a doppia carreggiata senza accessi intermedi dove il limite di velocità è alzato a 60 o 70 orari). Eppure, come ho scritto sul Sole-24 Ore del Lunedì dell’altro ieri, l’eccesso di velocità in centro abitato è l’infrazione più commessa dai giovani. Così i Comuni si arrangiano disseminando le vie di dossi artificiali, sempre fastidiosi e talvolta irregolari.
Lo spirito della legge 168/02 è certamente condivisibile: in città è più facile fermare subito i trasgressori, cosa che è sempre preferibile, alla luce del Codice della strada (articolo 200) e del buonsenso: rafforza la deterrenza e consente una difesa immediati a quei (pochi) guidatori che hanno un motivo valido per andare forte (per esempio, stanno portando un ferito in ospedale). Così la legge vuole costringere le forze di polizia a organizzarsi con posti di blocco per gli indisciplinati. Ma ciò richiede un maggior impiego di personale, che spesso non è possibile. Così finisce che si fanno meno controlli anche dove sarebbe necessario garantirli sempre.
Non potendo sempre sostituire la postazione fissa con agenti in carne e ossa e dovendo comunque fare qualcosa per arginare gli incidenti, molti Comuni ricorrono ai dossi rallentatori. Che però sono ammessi solo sulle vie che attraversano insediamenti residenziali, non costituiscono assi di collegamento tra varie zone della città e non sono solitamente percorse da mezzi di soccorso. Alcuni Comuni hanno aggirato l’ostacolo costruendo rialzi della carreggiata più lunghi e larghi, che inducono a rallentare meno dei dossi ma non sono previsti dal Codice della strada (quindi, in caso d’incidente, se qualcuno fa causa al Comune rischia di vincere, come ha di fatto sottolineato l’ex-ministero dei Lavori pubblici in più di un parere scritto).
Aldilà di tutto, i dossi non sempre raggiungono lo scopo di far andare piano. Prendete quelli che hanno messo da un anno sul viale a doppia carreggiata che porta all’aerostazione di Bari: a parte il limite di 30 all’ora che lascia quantomeno perplessi, qualcuno (la 3M, che si è anche vantata del progetto su una sua rivista) ha installato dissuasori di velocità (i pannelli che riportano la velocità rilevata, “sbattendola in faccia” con un lampeggio a chi guida superando il limite). Se vi fermate per qualche minuto, vi accorgete che i pannelli lampeggiano praticamente per ogni veicolo che passa. Segno che non servono né i dossi né il dissuasore stesso. Alla fine, dei dossi restano solo l’aumento dei consumi causato dalle accelerazioni e la scomodità dei sobbalzi. Con buona pace dei malati gravi che dai Balcani vengono trasportati in aereo a Bari per curarsi (caso non infrequente): passare su un dosso con l’ambulanza mentre stai soffrendo sulla barella causa sobbalzi non piacevoli. A me è capitato di doverli “assaggiare” nel ’99 a Rozzano (Milano)…