Il titolo era di quelli che “acchiappavano”. Così molti mi hanno chiesto spiegazioni sull’articolo comparso ieri su Repubblica, che lasciava intravedere un nuovo fragoroso scandalo sugli autovelox automatici utilizzati dai Comuni. In realtà, non c’è alcuno scandalo, tranne forse qualche possibile eccezione. E stiamo parlando solo di postazioni quasi sempre vuote, messe solo come deterrente per far rallentare dove la legge e la scarsità di personale non lasciano alternative più efficaci. Ma, soprattutto, non c’è nulla di nuovo: sono cose di cui abbiamo parlato, con la dovuta pacatezza, l’estate scorsa.
Spieghiamo.
La questione riguarda i Check box o VeloOk. Sono involucri ben visibili e colorati (spesso di arancione) che ricordano il limite di velocità e possono ospitare un apparecchio di rilevazione. Si trovano su strade urbane (compresi i tratti di statali e provinciali che attraversano centri abitati): lì i controlli automatici di velocità sono vietati e per questo Repubblica ha fatto quel titolo “allarmistico”. L’articolo, che poi era più “moderato”, tirava in ballo anche una nota ministeriale di inizio estate, interpretandola come una possibile sconfessione del sistema.
In verità, il ministero ha solo ribadito ciò che era già chiaro a tutti gli addetti ai lavori: quei box sono solo comunissime scatole di plastica (quindi chi le urta uscendo di strada non corre particolari rischi) e, come tali, non hanno bisogno di alcuna omologazione. Anche perchè il misuratore di velocità vi sta dentro senza interagire col box: per esempio, la fessura attraverso la quale i sensori dell’apparecchio emettono i loro raggi è aperta, quindi non ci sono lastre di vetro o plastica che possono deviare i raggi falsando la misurazione. Insomma, dal punto di vista sostanziale non c’è alcuna anomalia.
Certo, poi nell’articolo si dà voce a un avvocato secondo cui l’omologazione è necessaria comunque e non è escluso che qualche giudice di pace si faccia anche convincere. Ma si tratterebbe di puri cavilli, che se il Comune riuscisse a portare in Cassazione (il guaio è che non di rado ci rinuncia) potrebbero essere smontati.
I box, trovandosi su strade classificate come urbane (dove i controlli automatici sono vietati, tranne i pochi casi di viali a doppia carreggiata classificati “di scorrimento” e autorizzati dai prefetti) ed essendo solo scatole “aperte”, possono contenere un misuratore funzionante solo quando c’è un vigile presente. Questo è sempre stato chiaro e finora non ho notizia di Comuni tanto sfrontati da far funzionare gli apparecchi anche senza presidio. Peraltro, rischierebbero grosso: gli apparecchi potrebbero essere facilmente rubati o danneggiati.
Nell’articolo di Repubblica c’è spazio anche per chi afferma che invece qualche Comune piazzerebbe l’apparecchio nel box e lo lascerebbe funzionare “da solo”. Ribadisco che non ne ho notizia sinora e che per il Comune sarebbe rischioso. Ma ovviamente il mondo è vario e nessuno può escludere nulla.
Quindi il consiglio è di guardare sempre se c’è l’appareccchio (è facile vederlo) e, se c’è, verificare se c’è un agente nei dintorni. Se non ci fosse, scattando qualche foto, si potrebbe far passare un brutto quarto d’ora a chi eventualmente redigesse verbali falsi.