Fioriscono i limiti di peso sui cavalcavia italiani: l’ultimo che ho visto è spuntato nell’ultima settimana sulla circonvallazione di Bergamo e vieta il transito ai veicoli che pesano più di 44 tonnellate. I crolli recenti (anche se il caso del cavalcavia di Annone Brianza che ha ceduto a ottobre per mancata manutenzione è diverso da quello della A14, dove i soldi ci sono ma evidentemente restano problemi di scelta delle imprese che fanno i lavori) inducono i gestori a cautelarsi (anche se restano eccezioni di trascuratezza almeno apparente, come sul viadotto di Gamberale, in Molise). Ma il rischio è la paralisi. Soprattutto per i trasporti eccezionali, dove le cautele arrivano al massimo.
Infatti, per evitare il ripetersi del caso-Annone, ora in molti casi le autorizzazioni al transito vengono rilasciate solo dopo l’ok di tecnici abilitati per ogni singola strada che il trasporto deve percorrere. Il principio non fa una grinza: visto che non c’è modo di avere banche dati complete, aggiornate e veritiere sullo stato di manutenzione di ogni ponte, viadotto o cavalcavia, ci si deve rivolgere a un professionista che conosce la singola struttura. Ma il risultato è la paralisi.
In ogni caso, non c’è alternativa: mica ci sono i soldi per rimettere tutto a posto. Né si può rischiare di far morire altra gente. Con buona pace delle ragioni dell’economia che deve girare e della relativa retorica del politico di turno.
Diventa così ancora più evidente la mancata attuazione della direttiva europea 2008/96, nonostante sia stata recepita nel 2011: prevederebbe, tra le altre cose, la formazione di tecnici in grado di tenere sempre sotto controllo le condizioni delle strade. Sin dalla fase di progettazione, addirittura. Una cosa troppo penetrante e ambiziosa per i nostri gestori di strade. Sarà per questo che chi al ministero delle Infrastrutture doveva attuarla non si è finora mosso?