#Dieselgate – Come eludere i test. Facendo finta che sia solo un caso

Fa impressione leggere su un giornale solitamente paludato come il Sole 24 Ore descrizioni nette e franche come quelle che riempiono pagina 22 e 23 di oggi sul Dieselgate. Praticamente in tutti gli articoli si scrive apertamente che le norme antinquinamento europee sono fatte per essere violate e che quindi clamore e polemiche di queste ore su Fca, il governo italiano che la copre e Renault sono fuori luogo: tutti hanno approfittato in varia misura e modalità delle scappatoie consentite dalle norme. Se non altro per non perdere competitività rispetto ai concorrenti.

Dunque, sotto accusa c’è l’intero sistema politica-industria (trainato in prevalenza dai tedeschi) che ha trovato gli accordi sulla cui base sono state scritte queste norme. Un sistema concepito nella sia parte virtuosa dando priorità a rapidi tagli alla CO2 (dunque, a misura del diesel e degli investimenti che tedeschi e francesi avevano già iniziato a fare su di esso) e che ora, di fronte alle bordate che vengono dagli USA, invece di compattarsi, fa volare gli stracci. A chi non ci crede consiglio di vedere l’ultima seduta della Commissione d’inchiesta del Parlamento europeo sul Dieselgate, con l’audizione del nostro viceministro Riccardo Nencini.

Uno spettacolo su cos’è la politica, recitato da attori eccellenti. Altro che serie televisive. Tutti presi nel loro ruolo istituzionale, ma attenti a lanciarsi messaggi. Da una parte, agguerriti europarlamentari che pongono domande sui buchi dei test emissioni italiani fingendo di non sapere che le norme sono quel che sono, ma in realtà lo sanno e vogliono mettere in difficoltà Nencini, per motivi politici o perché rappresentano Paesi interessati a mettere in cattiva luce l’Italia e Fca, per sviare l’attenzione dalle magagne delle proprie case automobilistiche nazionali. Dall’altra parte, un Nencini che regge il gioco, ripetendo – con calma e cortesia che a tratti lascia il posto a gelida stizza – che è tutto consentito dalle norme. E che in qualche momento chiosa quasi beffardo che l’Italia tendenzialmente non è contraria a rendere più serie queste norme.

Dunque, se qualche motore Fca “rimodula” il funzionamento del sistema Egr di ricircolo dei gas di scarico al 22esimo minuto, è solo per proteggere l’Egr dalle polveri che lo bloccherebbero e non certo per far “slegare” il motore dopo averlo tenuto a freno nel ciclo dei test di omologazione, che guarda caso dura solo fino al 20esimo minuto. E, a chi tocca il cuore del problema chiedendo se c’è un vaglio effettivo sulle ragioni per le quali il costruttore dichiara che è proprio necessario proteggere il motore proprio dopo 22 minuti, si risponde in modo evasivo, anche perché le norme europee non fissano paletti grandi come quelli Usa.

Naturalmente, a chi ricorda che a febbraio 2016 quei motori sono stati modificati per correggere proprio questo aspetto, si risponde che ciò si fa perché rientra nella consueta opera di miglioramento del prodotto. Mica perché il Dieselgate era scoppiato da poco e sarebbe stato saggio correggere qualcosa per non rischiare di finirci dentro.

A chi insinua che l’Italia fa interesse a coprire le anomalie di Fca, si risponde che lo Stato non è azionista del gruppo, omettendo casualmente di dire che qualsiasi governante del mondo fa comunque ponti d’oro a un fabbricante di auto perché impiega un esercito di persone. Che, se quelle fabbriche chiudono, diventa una bomba sociale.

E via così. Troncando, sopendo e omettendo. Per non accettare che l’Italia diventi il capro espiatorio di quell’intero sistema politica-industria che questa situazione l’ ha creata.