Ne muoiono di più per il particolato (432mila), ma ne muoiono anche per gli ossidi d’azoto (i famigerati NOx del dieselgate hanno mietuto nel 2012 75mila morti in 40 Paesi europei). Ma, a giudicare da quel che si vede nella vita reale, interessa a ben pochi. C’è da pensare questo, leggendo il rapporto sulla qualità dell’aria in Europa che l’Agenzia europea per l’ambiente, presentato oggi, e confrontandolo con qualche notizia di questi mesi.
Quello di oggi è il primo rapporto che l’Agenzia ha potuto scrivere tenendo conto in pieno dello scandalo Volkswagen Air quality in Europe – 2015 report. Contiene anche le stime sulla letalità suddivisa per sostanza inquinante nel 2012, quindi nel momento di massima diffusione dei motori al centro del dieselgate, prima che gli standard Euro 6 migliorassero la situazione (anche se non quanto appare dai cicli di prova ufficiali seguiti fino allo scoppio dello scandalo). C’è da consolarsi per il fatto che gli ossidi d’azoto non sono in testa alla classifica della pericolosità? Non troppo. Proprio sui NOx il settore dei trasporti risulta essere il primo responsabile delle emissioni (contrariamente a particolato e ozono, le altre due sostanze che preoccupano di più la Ue). E questo, in Europa, non importa quasi a nessuno: contrariamente agli Usa, il pubblico non ha certo punito il gruppo Volkswagen affossandone le vendite. Quanto all’Italia, i primi dati fatti filtrare attraverso Quattroruote dicono che appena un cliente su tre ha finora portato la propria auto coinvolta nel dieselgate a far eseguire il richiamo che dovrebbe riportarla in regola; vedremo se andrà meglio ora che hanno iniziato a richiamare anche i più diffusi motori 1.6. E siamo già sicuri che nessuno sarà indotto a smuoversi per il fatto che, per quel che stima il rapporto, l’Italia è prima in Europa per numero di morti nel 2012 legate agli NOx (21.600, largamente più dei 14.100 del Regno Unito, che è in seconda posizione).
Aggiungiamoci pure che per chi non si presenta al richiamo, di fatto, non ci saranno sanzioni. Né – c’è da giurarci – penalizzazioni da parte del mercato al momento della rivendita dell’usato.
Il fatto è che, specie in Italia, storicamente l’ambiente non è mai stato in cima ai pensieri della gente quando si tratta di acquistare l’auto e di farle la manutenzione. Non a caso, il gruppo Fiat è sempre stato fra gli ultimi ad adeguare la produzione quando cambiano gli standard antinquinamento. E ora sulla Giulia turbodiesel da 150 cavalli offre gratis la versione che abbatte le emissioni (sempre quelle “ufficiali”) di CO2 a 105 g/km (versione che probabilmente non avrebbe nemmeno offerto se non ci fossero le norme europee che incentivano a tenere bassa la media delle emissioni di CO2 sul venduto, prevedendo “multe” proporzionali agli sforamenti). L’ecologia finora ha funzionato più come argomento di vendita per spingere i ricchi a pagare ancora di più le loro auto (vedi certe ibride premium ad alte prestazioni) e per garantire alla gente comune di poter entrare anche in centro, di poter circolare anche in caso di blocca del traffico e di poter far rifornimento (di gas) a prezzi meno esosi nel momenti di caro-petrolio (a proposito: oggi sul Sole 24 Ore l’esperto Davide Tabarelli scrive che sono finiti gli anni dei prezzi bassi) e caro-accise. I recenti successi di due ibride Toyota (Yaris e Auris) per ora sembrano eccezioni che confermano la regola.
In ogni caso, non dimentichiamo che qualcosa si sta pur facendo. Dal rapporto dell’agenzia, in generale, emerge che l’aria sta migliorando. Ma non abbastanza per raggiungere gli obiettivi di abbattimento delle conseguenze dell’inquinamento su salute umana ed ecosistemi.