Silenzio di tomba. Della devoluzione di metà dei proventi autovelox agli enti proprietari delle strade per far sì che le mettano in sicurezza non si dice ancora nulla. Nemmeno dopo il blitz parlamentare della scorsa primavera, con cui il presidente della commissione Finanze della Camera, Gianfranco Conte, aveva posto un termine automatico per l'entrata in vigore (articolo 4-ter del Dl 16/12), apparentemente scardinando il blocco scattato già da quando la devoluzione è stata prevista dalla riforma del Codice della strada, due anni fa. Come mai?
Mi pare che la verità sia una sola: sono rimasti tutti con un cerino in mano e ora nessuno sa come procedere. Si confidava in una nuova norma da fare entro l'estate, per riscrivere tutto daccapo, ma non se n'è fatto nulla.
Resta così il guazzabuglio interpretativo aperto dal blitz parlamentare: non c'è chiarezza nemmeno sulle date. Originariamente la legge 120/10 parlava di decorrenza dell'obbligo dall'esercizio finanziario successivo a un decreto ministeriale attuativo, che non è mai arrivato. Il Dl 16/12 (decreto semplificazioni fiscali) fa crollare questo castello stabilendo che, se il Dm attuativo non viene emanato entro 90 giorni (ed era certo che non lo sarebbe stato), la devoluzione sarebbe diventata obbligatoria lo stesso. Ma da quando?
L'Anci ritiene dal 2013. Ma la Finco, filiera confindustriale delle aziende che si occupano tra l'altro di gestione e manutenzione delle strade, interpreta l'assetto legislativo che si è creato nel senso che la devoluzione scatta subito. Per questo ha scritto anche al presidente della Corte dei conti, denunciando quello che appare un ennesimo tentativo di eludere l'obbligo di tenere le strade in sicurezza. Un obbligo che moralmente c'è da sempre, mentre giuridicamente c'è in modo chiaro e inequivocabile da vent'anni (cioè dalla prima versione dell'attuale Codice della strada, Dlgs 285/92).
E la Corte che ha risposto? Finora, silenzio di tomba.