Autovelox finti, polemiche (finte) a Roma

A Roma è polemica sugli autovelox. O, meglio, sui VeloOk, che sono solo contenitori in grado di ospitare un rilevatore di velocità, ma di fatto sono quasi sempre vuoti. I detrattori usano proprio questo argomento per dire che sono uno spreco, aggiungendo che la spesa è aumentata dai frequenti atti di vandalismo (basta vedere quanti contenitori si possono trovare per terra, rotti, sulle strade della capitale). Obiettivamente credo che un problema ci sia, ma non è quello che viene denunciato (con demagogia degna della politica, quella con la p minuscola).

Prima di spiegarvi perché, una premessa doverosa: l’iniziativa del VeloOk non si svolge solo a Roma (dove peraltro due anni fa una serie di incidenti mortali fece invocare piú controlli, anche più di quelli consentiti dalla legge), ma in tutte le città che hanno detto sì a una società che si chiama NoiSicuri, che ha lanciato il progetto con una serie di convegni ed eventi pubblici. Io ho partecipato a tre di essi, tra il febbraio e l’ottobre 2011 e ne ho ricavato un migliaio scarso di euro (credo nemmeno tutti ancora incassati). Già che ci siamo, preciso che, in 17 anni che mi occupo di queste cose, convegni ne ho fatti a bizzeffe e sono stato pagato solo per una decina e in casi che non reputavo compromettenti: per i restanti ho rifiutato o – più spesso – nulla mi è stato offerto (ma non per questo ho rinunciato a partecipare).

Autodenunciato il mio conflitto d’interessi (che molti del mestiere riterranno insignificante), passo a spiegarvi tutto, se vi fidate. Quei contenitori nascono come puro deterrente e non può essere altrimenti, perché per legge sulle comuni strade urbane i controlli automatici di velocitå sono vietati per legge, per le solite contorsioni del sistema italiano. Dunque, i contenitori possono effettivamente ospitare un autovelox funzionante solo se c’è almeno un vigile a presidiarli. A volte, per comodità, l’autovelox viene installato direttamente fuori dai contenitori.

Ciò non toglie che l’iniziativa funzioni, almeno sulle prime: vedere una strada con postazioni di controllo arancioni e azzurre in bella evidenza fa sentire controllati, un po’ come quando c’è il Tutor (che però costa molto di più e in città servirebbe molto meno che in autostrada). E infatti in tutte le località italiane in cui l’iniziativa è approdata le statistiche mostrano un calo delle velocità rilevate. Sì, esistono statistiche perché prima di installare i contenitori (peraltro facilmente spostabili in altre strade che nel frattempo diventano pericolose) si fanno studi. Così come si organizzano eventi pubblici con psicologi del traffico, per far capire alla popolazione lo spirito del progetto ed evitare così le solite polemiche sul Comune che “vuole solo far cassa”.

Ma vi dicevo che c’è un limite. Presto la voce che i controlli veri possono essere solo sporadici si sparge. Poi la gente, passando giorno dopo giorno, verifica che è proprio così e dopo un po’ si rimette a guidare come prima e solo pochi vengono effettivamente multati perché pochi sono i controlli “veri”. Insomma, i benefici dopo un anno o due rischiano di svanire.

Vale la pena, allora, mettere in piedi tutta questa giostra? Io credo di sì: in fondo, nel campo della sicurezza stradale, poche innovazioni hanno effetti davvero duraturi e i VeloOk costano poche centinaia di euro l’uno. In fondo, sono solo pezzi di plastica di colore vivace e con tanti adesivi sopra.