I suoi collaboratori mi si erano raccomandati tanto. Dovevo leggere con enfasi il suo messaggio di saluto al convegno della Fondazione Ania sull'omicidio stradale, il 2 dicembre scorso. Perché lui, Sandro Salvati, credeva anche in questa che è la più recente battaglia della Fondazione, da lui presieduta. Quel giorno il presidente non c'era: era già sofferente per la malattia che se l'è portato via la scorsa notte.
Non so se lessi il suo messaggio con abbastanza enfasi: non ho talento per impersonare gli stati d'animo altrui. Eppure mi venne facile almeno provarci. Perché quelle poche volte che ho ascoltato di persona i discorsi di Salvati o ho scambiato qualche parola con lui ho sempre avuto l'impressione di una persona che "ci credeva". In tutte le iniziative che varava: dalle campagne di comunicazione agli interventi diretti come la segnalazione dei punti più pericolosi delle strade o i contributi dati ai Comuni sotto forma di etilometri dati in dotazione o strisce pedonali ridipinte.
Insomma, con la sua convinzione Salvati dava l'impressione di una persona "spendibile". Cioè dell'uomo giusto per testimoniare l'impegno delle compagnie assicurative sulla sicurezza stradale, ufficializzato solo a metà dello scorso decennio creando proprio la Fondazione. Un compito non facile, data la cattiva fama che il settore spesso ha.