Chi ha ragione tra Fiat e Fiom nella disputa sui diritti dei lavoratori? Difficile dirlo: la disputa sembra riguardare un valore alto, quasi un diritto umano, quindi la Fiom parte in vantaggio; ma la Fiat ha dalla sua argomentazioni concrete su concorrenza, costi e rischio che in Italia prima o poi si debba chiuder baracca. Ma alla discussione manca un elemento fondamentale: va bene l'impegno Fiat a tenere la produzione in Italia se gli operai staranno alle sue condizioni, ma chi garantisce che poi il piano industriale abbia successo? Credo che occorra prima rispondere a questa domanda, perché la Fiat è il costruttore più esposto alla concorrenza cinese. Che oggi nell'auto non si vede, ma nei prossimi anni diventerà feroce. E la Fiat potrà tenerle testa solo se si riposizionerà sul mercato andando più in alto. Ne è convinto Giuseppe Volpato, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, da decenni una delle voci italiane più ascoltate da produttori e venditori di auto. Quindi, se i prossimi modelli non saranno di qualità migliore (che dipende da tutti: progettisti, ricercatori, uomini di marketing e operai), si rischia grosso. Fiom o non Fiom.
Volpato non è tanto impressionato dal fatto che la Fiat nel mese scorso abbia perso il 22% delle vendite rispetto a un anno fa, contro un calo medio del mercato “contenuto” in un 9,6%. Sono cose che possono capitare anche per motivi contingenti. Tanto che giusto due settimane fa, intervenendo a una tavola rotonda all’annuale Conferenza Aci di Riva del Garda (Trento), il professore aveva detto che non conta tanto il numero dei veicoli prodotti quanto il posizionamento competitivo di ciascun costruttore.
E proprio qui quello Fiat è il marchio più esposto agli attacchi della concorrenza cinese, che oggi è ancora distante (il principale costruttore, Saic, è tredicesimo in classifica mondiale con 1.197.000 auto prodotte nel 2009, circa la metà rispetto alle 2.386.000 del gruppo Fiat, che è nono), ma nei prossimi anni sbarcherà in forze in Europa. “Il fatto – dice Volpato – è che i cinesi hanno una domanda interna molto forte, che gli consente di vendere all’estero anche in dumping. Si sta per ripetere ciò che nei decenni passati ha favorito proprio la Fiat, la quale oggi deve invece temere più degli altri costruttori generalisti europei da questa situazione. Perché gli altri sono stati più veloci ad apprestare le contromosse: radicarsi in Cina e lanciare propri marchi low cost”.
Radicarsi in Cina può servire sia per sfruttare meglio il boom del mercato locale sia per produrre a basso costo modelli da importare in Europa, all’occorrenza. “Potrebbe farlo la Opel – spiega Volpato -, che sta raggiungendo il traguardo del milione di esemplari prodotti in Cina. Poi la Volkswagen è presente dagli anni Ottanta. La Fiat era arrivata abbastanza tempestivamente, ma non è ancora radicata perché solo ora sembra aver trovato il partner locale giusto (Guangzhou), dopo le esperienze con Nanjing e Geely”.
Lanciare in Europa propri marchi low cost è stato uno dei fattori-chiave per fronteggiare la crisi, come ha dimostrato il successo di Dacia (Renault) e Skoda (Volkswagen). Volpato fa notare che la Dacia ha fatto bene soprattutto in Francia e Italia (proprio in casa Fiat), mentre la Skoda ha approfittato della produzione per piattaforme condivise che consente di abbassare i costi mantenendo una qualità non distante dai marchi premium. La Fiat un marchio low cost (Innocenti) lo aveva acquisito vent’anni fa, ma non è riuscita a sfruttarlo (anche perché probabilmente i tempi non erano maturi).
Per il gruppo italiano, quindi, il problema comincia a non essere più quello di fare massa critica facendo acquisizioni (come fatto con Chrysler e tentato con Opel l’anno scorso) per riuscire a produrre abbastanza vetture da poter restare indipendente: occorre guardarsi dall’erosione delle quote di mercato pur non disponendo di un affermato marchio low cost né di una forte base produttiva in Cina.
La via di uscita indicata da Volpato è un riposizionamento qualitativo del marchio Fiat, che consenta di vendere con margini di guadagno superiori: “Si tratta di ripetere l’operazione-500. Occorre farla non solo nel segmento superiore, dove infatti la Fiat ha annunciato un modello Suv per sostituire la Croma. Bisogna dare una connotazione più orientata al premium anche alle prossime Punto e Bravo”. E se non lo si farà? “Oggi in Europa le Fiat stanno diventando vetture ordinarie per clienti ordinari. Gli stessi clienti che oggi possono essere attratti dalla crescita qualitativa del gruppo Hyundai, puntellata sia dal miglioramento del prodotto sia dai sette anni di garanzia”. Insomma, la Fiat deve riposizionarsi inseguendo la Volkswagen, che resta un costruttore generalista ma – essendosi orientato verso l’alto sfiorando il mercato premium – soffre meno la concorrenza degli altri generalisti.
A pensarci bene, questo è un po’ lo stesso ruolo che nel gruppo Fiat ha l’Alfa Romeo. Che quindi dovrebbe a sua volta salire, entrando nella fascia premium "vera" (cosa che peraltro prometterebbe di fare Volkswagen secondo le voci che la vorrebbero acquirente del marchio Alfa). “Operazione necessaria – conclude Volpato -, anche se potrebbe richiedere tempo: è la stessa cosa che iniziò nell’82 il gruppo Volkswagen col marchio Audi, portandola a termine solo vent’anni dopo”. Un'operazione del genere dovrebbe probabilmente passare pure attraverso la disponibilità di tecnologie avanzate per la sicurezza ben "visibili" al cliente e quindi apprezzate. Parlo dei soliti cruise-control attivo, avviso di uscita involontaria dalla corsia, visore notturno, sistema salva-pedoni, head-up display. Dispositivi che tra l'altro la Ue caldeggia, facendoli entrare nella strategia per il dimezzamento delle vittime nel prossimo decennio. Visto che – almeno per ora - la Ue non ne parla in termini di obbligo da imporre ai costruttori, saranno questi ultimi a doversi dare da fare spontaneamente. Forza, Alfa!