Quando ero bambino, una delle frasi più ricorrenti era "tanto io sono assicurato". Erano i primi anni della Rc auto obbligatoria e, nonostante il numero esorbitante di incidenti, morti e feriti, ci si preoccupava più del danno da pagare alla controparte. Peraltro, non c'era emergenza sul caro-tariffe, perché queste ultime erano decise dal Governo e perché le riparazioni incidevano meno sui bilanci delle compagnie (se guardiamo con l'occhio di oggi, avevamo auto terribilmente insicure, ma riparabili pure nel tempo libero). A nessuno passava in mente di avere un incidente grave o che uno dei propri cari potesse esserne vittima. Eppure le vittime della strada erano il doppio rispetto a oggi, pur con un traffico ben meno intenso, Così tutto si riduceva a preoccuparsi se ci fosse l'assicurazione, come assolutrice di tutti i peccati di guida (ma provate a raccontarlo a chi per un errore di guida è rimasto paralizzato a vita).
Oggi le tariffe ci preoccupano e forse siamo più consapevoli dei rischi (anche perché nel frattempo su strada sono morte decine di migliaia di persone), ma continua a prevalere l'approccio: "Se faccio un incidente, sarà per sfortuna inevitabile e non per colpa mia. E poi c'è l'assicurazione" (eppure siamo da sempre un Paese sottoassicurato). Lo dice il libro di Franco Taggi (medico dell'Istituto superiore di sanità) e Pietro Marturano (ingegnere che si occupa di sicurezza stradale al ministero delle Infrastrutture) intitolato L'onda lunga del trauma Prima, dopo, durante poi, e poi ancora (edizioni Cafi). Così Taggi e Marturano provano a sviscerare l'argomento dei costi sociali e personali, fisici e morali che un incidente comporta. La conclusione è una sola: meglio prevenire che curare. Si risparmiano soldi e sofferenze. Ma di fronte alla distrazione, alla fretta o all'ignoranza non attacca.