“L’impresa non poteva non sapere”. E la Cassazione la condanna per il colpo di sonno dell’autista

Se ne sono accorti in pochi, ma quella depositata martedì scorso dalla quarta sezione penale della Cassazione è una sentenza (la n. 21810/10) che dovrebbe mettere sull'avviso un bel po' di imprese di autotrasporto: ritiene l'azienda corresponsabile di un incidente mortale causato sulla già pericolosa E45 (la disastrata superstrada Orte-Ravenna) da un camion rimasto fermo addirittura sulla corsia di sorpasso per un colpo di sonno dell'autista il 3 marzo 2000 (ah, i tempi della giustizia italiana!).

Il poveretto, come poi ha "raccontato" il cronotachigrafo, aveva trascorso le ultime 43 ore prima dell'incidente in gran parte alla guida, tranne una pausa di 5 ore e 40 minuti e poche altre di non più di tre quarti d'ora. Una palese violazione dei tempi di riposo obbligatori, per la quale il Codice della strada prevede in effetti sanzioni pure per le imprese. Ma questo è solo l'aspetto amministrativo della vicenda, che però ha anche un risvolto penale. E di solito, non è facile arrivare a condanne penali anche per chi dirige le imprese, anche quando il buonsenso suggerisce che abbiano una loro parte di responsabilità: come in tutto il diritto penale, occorre dimostrare un "nesso di casualità" (cioè un legame stretto e certo) fra il comportamento illecito posto in essere e l'evento che costituisce il reato (in questo caso, l'incidente). Cosa difficile. Per capirci, è questo lo scoglio su cui si son fermate le inchieste contro la Fiat per i casi di tumori ai polmoni di chi utilizzava le Dedra e contro il ministero della Difesa per le leucemie ai soldati che avevano operato in zone dove erano stati impiegati dagli Usa i proiettili all'uranio impoverito.

La Cassazione trova questo nesso nel fatto che l'autista (come risulta agli atti) effettuava i viaggi secondo le disposizioni ricevute dall'azienda. E tali disposizioni prevedevano che fosse coperto un percorso di 2.200 chilometri con una tabella di marcia tale da imporre 25 ore di guida inframmezzate solo da brevi riposi. Secondo i giudici, ciò basta per configurare la responsabilità dell'impresa, consapevole che per rispettare la tabella di marcia ci sarebbe voluto un secondo autista, che invece non ha impiegato.