Sui giornali di ieri ha avuto un po' di spazio la sentenza con cui la Cassazione penale ha confermato il sequestro di alcuni misuratori di velocità al centro dello scandalo scoppiato l'estate scorsa nel Casertano. Effettivamente la cosa meritava attenzione. Ma non per il fatto che vieterebbe di avvalersi di società private, come ha fatto capire il "Corriere della Sera": si sa da anni che i privati possono svolgere attività ausiliarie all'accertamento dell'infrazione, che resta di stretta competenza degli agenti. Il punto vero è che la Cassazione ha detto no a uno dei punti che più fanno arrabbiare i cittadini: i compensi ai privati calcolati come percentuale delle multe. E questo credo possa far saltare più di un contratto stipulato dai Comuni, quindi prevedo una diminuzione dei controlli.
Finora il no alle percentuali lo aveva scritto solo il ministero delle Infrastrutture, ma – come accade per quasi tutti i pareri ministeriali – i sindaci non vi hanno dato molto peso. Il fatto che si sia pronunciata la Cassazione forse peserà di più. Anche perché le argomentazioni dei giudici sono identiche a quelle del ministero: il Codice della strada consente solo un compenso fisso, perché esso rientra fra le spese di accertamento, che non variano secondo il numero di multe.
I Comuni (anche quelli che col compenso a percentuale non volevano incentivare i privati a fare agguati per fare più cassa anche loro) si oppongono a questo ragionamento. Quelli più in buona fede argomentavano che col compenso fisso alla fine i controlli gli costano, perché a lungo andare i guidatori si adeguano e il numero di multe diminuisce. Ciò deriva dal fatto che, nella migliore delle ipotesi, vogliono fare sicurezza stradale a costo zero. E invece no: la vera sicurezza costa. Vedremo chi potrà permettersela.