Il quadro è disarmante. Più o meno tutti sospettavamo che i controlli automatici di velocità svolti dai Comuni fossero spesso presi come occasione per fare cassa, ma sentir ammettere da un ministro la propria sostanziale impotenza impressiona. Lo ha fatto l’altro giorno alla Camera il titolare delle Infrastrutture, Altero Matteoli, rispondendo a un’interrogazione che il deputato Marsilio gli aveva presentato “appena” la scorsa estate.
In pratica, pur nel consueto linguaggio ministerial-sciapito che è proprio di queste circostanze e serve a non evidenziare le cose imbarazzanti, Matteoli ha confermato le carenze del quadro legislativo attuale. E, soprattutto, ha detto che solo ora si sta chiedendo conto ai Comuni di se e quanto i controlli automatici di velocità piazzati a centinaia negli anni abbiano ridotto gli incidenti. Prima non lo si era fatto, nonostante oltre sette anni fa questi controlli fossero stati subordinati per legge (la 168/02) a una valutazione che riguarda pure l’incidentalità. Ciò autorizza a ritenere che – non di rado – non ci si fosse nemmeno posti il problema di piazzare i rilevatori nei tratti più pericolosi. Eppure la valutazione dovevano farla i prefetti, come autorità statale di garanzia rispetto all’operato dei singoli Comuni…
Matteoli si riferiva in particolare alla situazione della provincia di Roma. Ma l’estate scorsa, in questa stessa sezione del blog, vi ho documentato che cose del genere sono emerse pure in altre parti d’Italia (vi feci gli esempi di Arezzo e Crotone).
Ora si spera nell’attuazione della direttiva Maroni e nelle modifiche al Codice. Prima che ci pensino i cittadini, in cabina elettorale.