Oggi "me la prendo" con un mostro sacro della mia categoria, Vittorio Feltri. Ma il "bersaglio" è assolutamente casuale: in realtà, lo scopo di questo post è dimostrarvi quanto fuorvianti possono essere le cose che diciamo noi giornalisti quando non siamo specializzati e che questo vale anche per le firme più autorevoli. Il povero Feltri ha avuto solo la sfortuna di lasciarsi scappare una castroneria ieri sera durante una trasmissione radiofonica che stavo ascoltando per puro caso (di solito a quell’ora sto incatenato alla scrivania a produrre pagine).
Dunque, Feltri stava enumerando le buone ragioni per abolire le Province, citando un elenco di competenze che esse avevano e hanno via via perso, cosa che ne riduce l’utilità. A un certo punto, il conduttore lo ha incalzato dicendo che – tra le cose di cui le Province continuano ad occuparsi – ci sono le strade e Feltri ha ripreso dicendo che pure la competenza sulle strade è in via di esaurimento. Come se all’inizio di questo decennio non ci fosse stato il "federalismo stradale", cioè il fenomeno esattamente contrario: l’Anas ha dismesso migliaia di chilometri, passati a Regioni e – soprattutto – Province, che spesso non hanno i soldi per far fronte al nuovo compito. Non mi risulta che da allora si sia fatta marcia indietro, per cui credo che Feltri abbia sbagliato.
L’episodio non è importante in sé, ma conferma ciò che penso da tempo: in un mondo sempre più complesso, anche il migliore giornalista ha alte probabilità di errore, che si possono ridurre (e ho scritto ridurre, non certo azzerare, perché sbagliamo molto anche noi specializzati) solo con la specializzazione. Cioè l’esatto contrario del quadro attuale della professione, spaccata tra grandi firme chiamate a commentare di tutto e un esercito di manovali obbligati a occuparsi di tutti gli argomenti che di volta in volta servono per riempire le pagine. Nel caso delle grandi firme, trovo ci sia l’aggravante del loro prestigio, che induce il pubblico a prendere per oro colato le cose sbagliate che possono scappargli e a formarsi quindi un’opinione distorta.
La complessità del mondo, peraltro, produce anche una sovrabbondanza di notizie. Quella stessa sovrabbondanza che ieri ha tradito Feltri: il giornale da lui diretto avrà certamente scritto del federalismo stradale quando esso fu introdotto, ma ricordarsi dell’argomento a distanza di anni è solo roba da addetti ai lavori. Per questo, se il giornalista non approfondisce e rinfresca le cose, si limita a riferire i fatti del giorno in una versione che appare ragionevolmente verosimile. E’ lo stesso meccanismo in base al quale un anno fa abbiamo dato conto di una dichiarazione di un personaggio e oggi riferiamo senza fare una piega di una dichiarazione opposta fatta dalla stessa persona: semplicemente, non possiamo ricordarci tutto e – nell’impossibilità o non volontà di approfondire – ci limitiamo a fare il compitino del giorno.
Intendiamoci bene. Pur essendo uno specializzato, non provo invidia per i tuttologi che stanno sempre sotto i riflettori. Anzi, li ammiro: io, tutte le volte in cui sono costretto ad occuparmi di materie estranee alla mia specializzazione (e lavorando in una redazione locale mi capita, anche in un grande giornale come il Sole) sento un profondo disagio: so quanto siano scivolose le materie che conosco e quindi immagino che le altre lo siano almeno altrettanto, con la fondamentale differenza che in quelle non ho alcuno strumento per orientarmi ed evitare di scivolare. Dico di più: i tuttologi sono indispensabili, anche tra i grandi commentatori, perché hanno una visione di assieme della società, mentre noi specializzati spesso non vediamo aldilà del nostro naso (pensate a me, che ho a che fare solo con poliziotti, utenti della strada che hanno un problema, assicuratori, petrolieri, benzinai, meccanici, demolitori, concessionari e poche altre categorie, sempre legate all’auto). Però sarebbe meglio se i tuttologi rimanessero nel vago quando parlano di cose di cui conoscono poco i dettagli.