L’altro giorno vi scrivevo trionfante che i giudici finalmente stanno cominciando a stangare chi causa incidenti mentre guida ubriaco. Ora mi segnalano che uno degli stangati ha già trovato una scappatoia: andare a prendere la patente spagnola. E noi non possiamo farci nulla: la Ue ci impone di considerare le patenti emesse da altri Stati membri come sacre e indiscutibili.
Evidentemente lo sa bene l’avvocato di questo automobilista cui il giudice – per una delle prime volte in Italia – aveva applicato l’articolo 130-bis del Codice della strada, che da tre anni consente di considerare come un malato chi uccide qualcuno mentre guida ubriaco: consente di applicare la revoca permanente della patente prevista dall’articolo 130 fino a quando l’interessato non dimostra di essere guarito. Prima l’articolo 130 era applicabile solo in caso di malattia incompatibile con la guida, dal 2005 il 130-bis lo rende utilizzabile anche contro gli investitori gravemente ubriachi. Quando non viene utilizzato, l’omicida subisce la revoca "normale", che a distanza di un solo anno gli consente di ricandidarsi alla patente come un qualsiasi diciottenne; col 130, invece, la revoca rimane finché un medico non attesta che l’interessato non beve più.
Un meccanismo apparentemente perfetto. Ma che non tiene conto della possibilità di riprendere la patente in un altro Stato Ue: basta spostarvi la residenza (cosa facilissima, visto che in ambito comunitario non occorrono permessi di aoggiorno), studiare un po’ e sottoporsi agli esami per la patente. Dopodiché il gioco è fatto: la licenza di guida presa in questo modo è pienamente valida anche in Italia, perchè da quando esiste la Ue è caduto l’obbligo di convertire le patenti comunitarie quando il loro titolare risiede in Italia da oltre un anno. Al limite, l’interessato può optare per il semplice "riconoscimento" della sua patente estera: la mostra a un ufficio della Motorizzazione, che la inserisce nella banca dati italiana e stampa un’etichetta adesiva da attaccare sul documento. Da quel momento, la patente si gestisce come se fosse italiana e quindi – per esempio – c’è il vantaggio di poter fare la visita medica di rinnovo direttamente in Italia, senza tornare nel Paese di provenienza. Certo, col riconoscimento l’omicida condannato alla revoca in Italia rischia di essere scoperto e di vedersi negare la pratica: se il giudice "si ricorda" di comunicare la condanna a un corpo di polizia o alla Motorizzazione, la cosa viene annotata sulla banca dati, che può segnalare il tutto in fase di riconoscimento. Ma il riconoscimento non è obbligatorio, per cui l’omicida in pratica non lo farà mai, potendo continuare a guidare indisturbato con la sua patente spagnola.
Il caso insegna che la libertà di movimento in ambito europeo è bella e preziosa, ma va accompagnata dalla costituzione di un archivio unico da cui risulti il curriculum di ciascun guidatore. Così si eliminerebbe anche lo scandalo degli autisti dell’Est che subiscono la sospensione o la revoca della patente in Italia per infrazioni gravi e non fanno una piega perché l’indomani tornano in patria a denunciare di aver smarrito il documento e a farselo ristampare: le autorità locali, mancando l’archivio, non sanno che quel loro cittadino ne ha combinata una grossa qui in Italia. E difficilmente le forze di polizia italiane si accorgeranno del problema in un normale controllo su strada: di fronte a una patente regolare, difficilmente chiamano la centrale per sapere se il titolare ha "conti in sospeso" nel nostro Paese.
Ovviamente l’archivio unico rimarrà un’utopia ancora per molto. Non solo perché occorre trovare un accordo politico tra tutti gli Stati Ue. Ma anche perché aggiornarlo sarebbe difficile: non è detto nemmeno che in quello italiano vengano annotati i provvedimenti dei giudici italiani…