Lo scorso luglio ci siamo tutti commossi per la storia di Salvatore Alfano, travolto e ucciso in pieno centro a Salerno da un’auto mentre passeggiava con la fidanzata. Venerdì scorso il 22enne guidatore di quell’auto è forse finito nella storia del diritto penale.
Infatti, il giudice Gaetano Sgroia, per la prima volta di cui si ha sinora notizia, ha applicato il massimo della pena prevista dal recente pacchetto sicurezza (Dl 92/08): 8 anni di reclusione, 9 anni senza patente e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
E oggi a un imprenditore ferrarese che oltre un anno e mezzo fa (marzo 2007) uccise un povero irlandese mentre guidava con un tasso alcolemico di quasi 4 grammi/litro (praticamente in coma etilico) sono stati negati i benefici di solito concessi ai conducenti incensurati che commettono un omicidio colposo mentre sono ubriachi: niente patteggiamento né rito abbreviato, per cui non ci saranno sconti di pena quando si arriverà alla sentenza. Già decisa la revoca della patente a tempo indeterminato, una volta tanto: è stato applicato un articolo introdotto nel Codice della strada nel 2005 (il 130-bis), che consente di equiparare chi guidando ubriaco fradicio uccide qualcuno a un malato che, prima di poter riavere la patente, deve dimostrare di essere guarito. Con la revoca "semplice", invece, basta aspettare un anno e fare domanda per ottenere il foglio rosa e poi fare gli esami. Da notare che comunque l’imprenditore ne uscirà molto meglio rispetto a chi commettesse lo stesso reato oggi: dal marzo 2007 a oggi, si sono susseguiti ben due giri di vite sulle sanzioni.
In entrambi i casi, è importante notare che i giudici si sono sforzati per colpire l’imputato il più possibile, contrariamente a quanto accade di solito: l’incidente stradale mortale, nei tribunali, è più visto come una fatalità che come un reato. Forse per le campagne di stampa degli ultimi due anni, forse per la pressione esercitata dall’Associazione italiana familiari vittime della strada (Aifvs), che in entrambi i casi si era costituita parte civile.
Si vedrà comunque come finirà in appello, dato che sembra improbabile che i condannati rinuncino a fare ricorso.