In attesa che l’attuale Parlamento riprenda il discorso sulla liberalizzazione del tuning interrotto col cambio di legislatura, la Motorizzazione ha messo un altro paletto. Con una circolare del 30 luglio, ha chiarito le condizioni alle quali è possibile approvare l’aumento di potenza di un motore. Personalmente, sono d’accordo. Ma temo che si trasformi in un incentivo a continuare a truccare i motori clandestinamente.
Riassumiamo un attimo, così si capisce meglio. Oggi il Codice della strada prevede che qualsiasi modifica tecnica (tuning) che abbia un minimo di rilievo deve avere un nulla osta dal costruttore del veicolo (che per questo si fa pagare, spesso alcune centinaia di euro) e comporta un controllo (visita e prova) da parte della Motorizzazione (che però spesso si risolve in una mera ispezione visiva e in una lettura dei documenti). Gli appassionati delle elaborazioni trovano questo regime penalizzante, sostenendo che nel resto d’Europa il tuning è libero. Al loro fianco, tante aziende interessate a vendere i loro prodotti. Si è così formato un partito trasversale che da anni sta provando a far modificare il Codice della strada liberalizzando il tuning. Come ho scritto più volte, c’è proposta e proposta, ma comunque i più seri prevedono una serie di certificazioni non alla portata di tutti e non vedono di buon occhio le modifiche che aumentano la potenza dei motori (anche perché non è facile eseguirle senza andare a scapito di affidabilità e caratteristiche antinquinamento).
In questo contesto, la Motorizzazione si è trovata di fronte a richieste di annotare sulla carta di circolazione alcuni aumenti di potenza autorizzati dalle case costruttrici, che avevano omologato modelli analoghi ma più potenti. In sostanza, il nulla osta per un modello meno potente certifica che con le modifiche esso diventa conforme alle caratteristiche del più potente. La circolare del 30 luglio ha stabilito che tale conformità dev’essere totale, per cui, per esempio, occorre anche montare gomme e ammortizzatori adeguati alla maggior potenza se il costruttore li adotta di serie sulla versione più potente. Inoltre, bisogna fornire agli uffici della Motorizzazione tutti gli elementi apparentemente secondari che consentono di aggiornare senza ostacoli la carta di circolazione (per esempio, il nuovo livello di emissioni di CO2, un parametro che forse in futuro avrà anche una rilevanza sull’entità del bollo e delle tasse sui passaggi di proprietà).
Insomma, più rigore. Che non guasta, ma faccio notare che già da una decina d’anni (cioè da quando sono in voga i diesel common rail, che, essendo gestiti elettronicamente, possono essere regolati per dare più potenza semplicemente "toccando" la centralina dell’iniezione) non sono pochi i signori che fanno spremere più potenza senza passare dalla Motorizzazione. Non tanto perché mal sopportano la burocrazia, quanto perché sanno che così i loro motori non saranno più in grado di rispettare i limiti antinquinamento che compaiono sulla carta di circolazione (avete notato quante diesel anche recenti fanno fumo nero in accelerazione? eppure per costruzione dovrebbero essere pulitissime). Non solo: sanno che non aggiornare il documento dà loro la possibilità di non pagare la differenza che sarebbe dovuta su bollo e passaggio di proprietà (proporzionali, appunto, alla potenza). Dulcis in fundo: potranno rivendere l’auto a un acquirente ignaro delle modifiche fatte al motore e quindi anche dei conseguenti rischi per l’affidabilità. Per contro, il rischio di essere scoperti è quasi pari a zero: su strada è difficile fare controlli e le revisioni periodiche si fanno come si fanno.
Insomma, taroccare il motore clandestinamente dà troppi vantaggi e troppo pochi rischi. Perché non continuare a farlo?