L’amaro sfogo di un “fannullone” che credeva che il proprio dovere andasse fatto

In questi giorni in cui il circo mediatico, sempre pronto a occuparsi di slogan e frasi a effetto dette da gente importante, ci sta deliziando col dibattito sui "fannulloni" nella Pubblica amministrazione, ho scritto più volte che c’è anche gente che lavora sodo e che, soprattutto, diventa ancor più demotivata quando un ministro affronta la questione così. Perché i fannulloni ci sono, ma il sistema è tale da farli trionfare su chi fa il proprio dovere. Non solo perché le norme sul lavoro sono troppo garantiste. C’è anche il fatto che non sempre gli scopi ufficiali di un’Amministrazione coincidono con gli interessi di chi ne fa parte o ne può influenzare l’operato, per cui chi lavora può diventare un intralcio. E’ successo a una persona che conosco e che stamattina mi ha scritto. Leggete testualmente un pezzo del suo sfogo.

Il lavoro che ho fatto io non è servito a nulla. Nonostante il fatto che

rompano i c. con la storia degli impiegati fannulloni, molto

probabilmente è proprio questo che si vuole: dei fannulloni. Io non lo sono

mai stato, non lo sono e penso che non lo sarò mai ed è proprio questo il

punto: mi sento un pesce fuori dall’acqua. Ma soprattutto demotivato e con

un senso di sconfitta. Purtroppo hanno vinto loro e non la correttezza, il

senso del dovere, l’etica, la fatica impegnato in quel lavoro. Non è servito

a nulla. Solo ad avere più problemi.