Il “Corriere” e la patente a punti: tra “novità” ed esagerazioni

Quindici anni fa, quando frequentavo la scuola di giornalismo, avevo un docente bravissimo: Silvano Petrosino, professore alla Cattolica di Milano. Parlando coi miei compagni di corso e con altri ex-allievi, ho scoperto che a tutti è rimasta scolpita in testa la sua lezione sulla “perpetuazione dell’esistente”: in soldoni, basta che un organo di stampa riporti una sciocchezza per veder rilanciare la stessa sciocchezza anche dagli altri mass media, anche a distanza di tempo. Noi ex-allievi della scuola (l’Ifg di Milano) siamo centinaia e molti di noi lavoriamo nelle redazioni più prestigiose, non di rado con ruoli di grande responsabilità. Eppure, quando siamo alla nostra scrivania, di quella lezione sembriamo dimenticarci. L’ultimo esempio l’ho visto ieri, sulle due paginate dedicate dal “Corriere della Sera” al flop della patente a punti.

Vi si poteva leggere che migliaia di Comuni italiani non procedono alla decurtazione dei punti per i conducenti colti in fallo dai loro vigili e che comunque su Internet c’è un fiorente traffico di punti, per cui chi ha la patente ancora immacolata offre ai multati di dichiararsi conducente del veicolo al momento dell’infrazione (in cambio di un compenso).

Quanto ai Comuni, che il loro apparato burocratico non abbia mai digerito la patente a punti e proceda alle decurtazioni tra difficoltà e lentezze è vero, ma non è vero che ometta del tutto di comunicarle alla banca dati centrale della Motorizzazione. Eppure sei mesi fa “L’espresso” lo ha scritto e da allora tutti credono che sia vero. Nella realtà, l’unico problema serio causato dai Comuni è che le decurtazioni avvengono con ritardi anche di più di un anno, il che le rende molto meno efficaci: il biennio di “buona condotta” – al termine del quale il conducente matura il diritto di tornare a punteggio pieno – si conta a partire dalla data dell’infrazione, quindi si resta “decurtati” per poco tempo, troppo poco per rischiare davvero di essere beccati un’altra volta e rimanere davvero senza punti. Ma questo il “Corriere” non lo spiegava.

Quanto ai traffici di punti, stavolta la fonte è un articoletto di “Quattroruote”, che riportava pochi esempi, dai quali peraltro non si ricavava nemmeno la certezza che le decurtazioni a soggetti di comodo in cambio di denaro esistessero davvero. E infatti la notizia era poi stata approfondita da qualche investigatore, ma non ne è scaturito alcunché di rilevante. Anche perché nel frattempo la multa per chi non consente di identificare il conducente-trasgressore è scesa a 250 euro, facendo diminuire i proventi per chi venderebbe i propri punti. Ma ormai il danno è fatto: nell’immaginario degli italiani (e prima di tutto di noi giornalisti), e-Bay è pieno di offerte di punti.

L’unico elemento fondato delle due pagine del “Corriere” mi sembra il fatto che l’effetto deterrente della patente a punti sta scemando. Ma questo era già noto da tempo (io lo scrissi oltre due anni fa) e anche prevedibile. Non solo perché a tutti i giri di vite prima o poi ci si abitua (specie se i controlli sono quelli che sono). Ma anche perché il meccanismo della patente a punti contiene buchi che lasciano scappatoie (ne scrivo dal ’99, quasi quattro anni prima della sua entrata in vigore).

Intendiamoci, io non credo che la”perpetuazione dell’esistente” sia sempre dovuta alla nostra pigrizia nel verificare le notizie. Anzi, sono convinto che la maggior parte delle volte sia dovuta al fatto che i giornali stanno diventando meri “paginifici”: sempre più pagine da riempire e sempre meno gente che ci lavora, per cercare di aumentare i ricavi e avere la certezza di comprimere i costi. Con buona pace delle verifiche. Ma ciò non cambia il risultato finale nei confronti dei lettori. Io, almeno, vi ho avvisato. E temo che alla lunga se ne accorgeranno in molti, per cui vendite e credibilità scenderanno ancor più che fino a oggi.

  • paolo |

    Al di la’ delle vostre giuste considerazioni sui mass media; rimane una chiara verita’ sulla patente a punti: come ho gia’ scritto in passato, le regioni che controllano di piu’ e levano piu’ punti dalle patenti, emilia romagna, lombardia, trentino, veneto, sono quelle dove il tasso di mortalita’ per abitante è tra i piu’ alti in italia e in europa. Le regioni dove si levano meno punti, dove ci sono meno controlli e dove tutti se ne sbattono i c. , campania, calabria ad esempio, hanno il tasso di mortalita’ piu’ basso in italia e pure in europa.

  • anonimo |

    La credibilità nel settore di testate come Corriere e Repubblica è a zero da anni.
    Solo un minus habens non si accorgerebbe che i loro articoli sono meri copia e incolla dei comunicati elaborati dagli uffici marketing dei costruttori.
    O, come nel caso della patente a punti, dei frullati di articoli già pubblicati da altri. Giusto per fingere di "fare giornalismo", come riempitivo tra una pubblicità e l’altra.
    E non è gossip. Il celebre scandaletto dei giornalisti di grandi quotidiani retribuiti dagli uffici stampa per fare domande "intelligenti" nel corso delle manifestazioni pubbliche è stato messo a tacere in sede giudiziaria, ma non è mai stato smentito nella sostanza (e come farlo? i libretti degli assegni sono stati depositati in Procura).
    Se non ci fosse la raccolta pubblicitaria a giustificarle, le redazioni-pagine dei motori dei quotidiani sarebbero già da tempo un pezzo da museo.

    [risponde Maurizio Caprino] Una precisazione e una riflessione.
    La precisazione: gli articoli pagati, concordati o addomesticati dagli uffici stampa sono una cosa, il "riciclaggio" di notizie non verificate è un’altra, ben diversa. Ma non c’è dubbio che siano entrambi fenomeni gravi, che uccidono il giornalismo perché ne minano la credibilità.
    La riflessione: nonostante tutto, difendo la mia categoria. Non per dovere d’ufficio e nemmeno perché sia convinto che non esistono colleghi corrotti o semplicemente superficiali (ce ne sono eccome!). Difendo la categoria perché in realtà credo che molti di noi vogliano fare bene il proprio lavoro, ma non sono messi nelle condizioni di farlo: oggi i giornali si leggono sempre meno, quindi si reggono sempre più grazie alla pubblicità. Non solo: date le difficoltà, ovviamente, si cerca di produrre sempre più pagine (su cui si possono vendere spazi pubblicitari) con sempre meno persone (che quindi restano inchiodate alle rispettive scrivanie, così tra l’altro si risparmia anche sulle trasferte). Per chi amministra i giornali tutto ciò è assolutamente normale. A me – da anni -resta il dubbio che il calo di lettori non sia solo frutto della pigrizia degli italiani, ma sia dovuto almeno in parte alla consapevolezza che non poco di ciò che si legge è "fasullo". Il commento di "Anonimo" sembra confermare il mio dubbio.

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