I magistrati, si sa, non amano le ingerenze dei politici. Ma forse nel caso del decreto Bianchi le stanno addirittura desiderando: il nuovo giro di vite sul Codice della strada sembra essere stato introdotto in modo tanto frettoloso da creare più di un imbarazzo in chi lo deve applicarlo. Oltre ai problemi già segnalati nei tanti post di questi giorni (si vedano le sezioni “Novità” e “Alcol e droga”), me n’è venuto in mente un altro: che cosa succede se l’etilometro fornisce a cavallo tra una fascia di sanzione e l’altra?
Mi spiego meglio. Il regolamento di esecuzione del Codice della strada (articolo 379) prescrive che, per accertare con l’etilometro il reato di guida in stato di ebbrezza, occorre eseguire almeno due test in un intervallo di cinque minuti e che i risultati siano “concordanti”. Tutto perfetto fino al 3 agosto, quando esisteva un solo limite: fino a 0,5 grammi per litro eri in regola, da 0,51 eri in stato di ebbrezza ed era il giudice a decidere la sanzione entro il minimo e il massimo previsti dall’articolo 186 del Codice. Dal 4 agosto, invece, il decreto Bianchi ha introdotto sanzioni a fasce (da 0,51 a 0,8, da 0,81 a 1,5 e oltre 1,5): il giudice può muoversi solo entro il minimo e il massimo di ciascuna fascia. Ma se – per esempio – il primo test indicasse 1,8 e il secondo 1,4, in che fascia saremmo? Risultati del genere, che fino al 3 agosto si sarebbero potuti definire “concordanti” (entrambi oltre il limite di 0,5), ora non lo sono più (appartengono a due fasce sanzionatorie diverse).
Certo, nulla vieta agli agenti di eseguire anche un terzo test. E nella prassi consolidata il giudice tiene conto solo della seconda misurazione, che poi è generalmente la più favorevole al trasgressore. Ma l’Italia è il Paese dei cavilli e non stupirebbe se qualche avvocato riuscisse a far annullare gli accertamenti sul suo assistito perché i risultati non sono concordanti. Sarebbe meglio se si riscrivesse la norma in modo. Con calma e rigore, finalmente.