Oggi comincia la prima Settimana mondiale della sicurezza stradale. “Il Sole-24 Ore del Lunedì” la “saluta” con un articolo che può sembrare politicamente scorretto, in cui documenta il caso di un Comune del Pisano (Riparbella) che ha teso un agguato ai guidatori. Apparentemente, lo schema è il solito: misuratore di velocità nascosto dove il limite è troppo basso. Invece, il caso di Riparbella è il primo di questo tipo che mi capita da almeno sei anni a questa parte, tanto che pensavo non esistessero più.
Infatti, anche quando i limiti sembrano troppo bassi, c’è spesso un motivo che li spiega. Magari un motivo discutibile (come la mancanza di soldi per tappare una buca o prolungare una corsia di accelerazione oppure la mancata conformità alle norme italiane di classificazione delle strade, sempre avulse dalle situazioni reali di cui il Paese è pieno), ma indiscutibilmente esistente. Per cui un guidatore deve sapere che effettivamente in quel punto c’è un pericolo, anche se magari il limite è sproporzionato. Nel caso di Riparbella invece no: stando alla relazione di un ispettore del provveditorato delle Opere pubbliche, non emerge alcun motivo per vietare di superare i 50 all’ora dove c’è l’apparecchio e lo studio fatto all’epoca dell’apposizione del segnale col limite dalla Provincia non si trova più. Avrebbe dovuto giustificare quel limite, ma non si trova.
Probabilmente di casi come questo in Italia ce ne sono altre centinaia (stima molto prudente). Solo che pochi si prendono la briga di analizzare la fondatezza di ciascuna limitazione di velocità, chiedendo agli enti proprietari la copia delle ordinanze con cui l’hanno fissata. E invece è proprio di qui che si dovrebbe partire se ci si vuole distinguere dal coro di quelli che criticano i limiti e poi possono essere smontati facilmente da un tecnico. Certo, è faticoso. Ma è l’unico modo credibile. Anche così si fa sicurezza stradale. Anche se il fatto che l’articolo sia uscito in occasione della Settimana è un puro caso. Lo giuro.