Che cosa c’insegna la storia della frazioncina di Pieve di Teco, nell’Imperiese, dove un guidatore su tre passa in eccesso di velocità, trovata ieri dal Corriere della Sera? Ce lo spiega lo stesso Corriere, ma non esplicitamente: si può capire solo guardando la foto del sindaco, che posa accanto alla postazione dove le velocità vengono rilevate. Infatti, non è un normale box autovelox di quelli blindati, ma uno dei famosi VeloOK: sostanzialmente, uno scatolone di plastica reso visibilissimo da colori vivaci.
Nonostante tutta questa evidenziazione, la gente non rallenta. Perché vede questi box ormai da otto anni e ha capito che sono sempre vuoti. Così, quando in uno di essi è stato piazzato davvero un rilevatore di velocità, nessuno se n’è accorto.
Dunque, è venuto al pettine il nodo che c’è sempre in queste situazioni: la reale deterrenza, che precipita quando la gente capisce che in realtà non c’è da preoccuparsi. E perché ha potuto capirlo? Perché i Comuni non hanno abbastanza vigili per presidiare con un minimo di frequenza queste postazioni, che quindi prima o poi appaiono per quello che sono: scatole vuote, che nessuno riempie.
Comunque, tutto nasce nell’autunno 2002, col divieto di mettere controlli di velocità automatici sulle strade urbane (tranne su quelle – poche – di scorrimento individuate dai prefetti). Fu motivato dalla giusta esigenza di limitare l’andazzo dei Comuni che vogliono solo fare cassa. Ma esiste l’altrettanto giusta esigenza di rendere più sicuri certi punti critici (pensate per esempio a quei paesi che sono ancora attraversati da strade extraurbane importanti o molto divertenti per i motociclisti, come avviene a Pieve di Teco), come dimostra il fatto che una delle maggiori emergenze da anni è la mortalità in ambito urbano, soprattutto di pedoni e ciclisti. Così si pensò a un deterrente, sfruttando il solito principio affermato all’estero dagli anni Ottanta: molte postazioni e un solo apparecchio, spostato di volta in volta.
Funziona solo se la gente sa che l’apparecchio c’è sempre, un po’ come alla roulette russa. Ma il fatto che i box siano di plastica (ottimo per la sicurezza) lascia capire che in realtà l’apparecchio non c’è praticamente mai. D’altra parte, per legge deve essere presente almeno un agente, che normalmente darebbe nell’occhio almeno un po’. Così poco dopo la gente ha capito e si è adeguata. Il risultato si vede nelle statistiche sugli incidenti e sulla statale che attraversa Pieve di Teco.
Il resto, cioè le polemiche sulla presunta illegittimità di questi box, è solo polverone.