Ce la farà la Toyota a reggere questa ulteriore ondata di richiami sugli airbag? Non intendo a livello d’immagine: anche il grande pubblico inizia a capire che i richiami sono soprattutto indice di serietà e, nel caso degli airbag, molti sanno che molto è dovuto al disastro fatto in tutto il mondo da un fornitore di quasi tutte le case automobilistiche, la Takata (fallita l’anno scorso proprio per questo disastro). Mi riferisco invece alla disponibilità dei pezzi di ricambio.
Infatti, uno dei precedenti richiami – quello lanciato due anni fa – ha visto i clienti ricevere la lettera e poi scoprire dal concessionario che i pezzi non c’erano (d’altra parte, non è facile ricontrattare ingenti forniture). Sarebbero quindi stati ricontattati. Cosa che, almeno per alcuni, è accaduta un anno dopo. Insomma, con la lettera la casa si è solo cautelata, avvisando del potenziale problema che ha causato il richiamo. A quel punto, il cliente può diventare corresponsabile nel caso succeda qualcosa, visto che era avvisato de potenziale pericolo.
Non lo fa solo la Toyota. Ultimamente è successo anche a un altro superbig, il gruppo Volkswagen, che a maggio ha scoperto un difetto sulle cinture posteriori della Polo e delle Seat Ibiza e Arona, tutte recenti (model year 2017 e 2018): ancora oggi, i clienti che vanno in officina si vedono solo applicare nell’abitacolo un adesivo che ricorda di non utilizzare il posto centrale posteriore, la cui cintura potrebbe sganciarsi. Il tutto in attesa dell’arrivo dei ricambi “giusti”.
Insomma, chi aveva acquistato l’auto per viaggiarci in cinque non può farlo. Per questo Altroconsumo ha avviato un’azione per far ottenere risarcimenti ai proprietari. O, addirittura, la sostituzione dell’auto (misura estrema).