Sabato scorso cadeva una giornata europea imbarazzante per l’Italia: quella che celebrava il 112, numero unico per le emergenze. Il motivo dell’imbarazzo è chiarissimo vedendo la foto qui sopra, divulgata ieri dalla Polizia di Stato: vettura di servizio nuova in esposizione a Roma col logo “113” ancora in bella mostra sui montanti posteriori perché il numero unico in Italia non c’è, nonostante sia stato imposto dalla Ue a partire da maggio 2011. Così persino la Forestale, pur confluita nei Carabinieri (che in Italia sono i titolari storici del 112), continua ad avere sulla livrea delle vetture di servizio il 1515 anche ora che vi è comparso il nome dell’Arma al posto di quello originario. E anche qui non è solo una questione di livrea: gli operatori che rispondono al 1515 sono effettivamente ancora della Forestale.
A chi obietta che in alcune zone d’Italia il 112 è partito, sì può rispondere che i risultati sono scarsini. L’ultimo esempio viene da Genova, dove il 112 è stato avviato nei giorni scorsi senza che sia stato possibile includere i vigili urbani, che pure intervengono sulla maggior parte degli incidenti fuori dalle autostrade.
Problemi di gioventù? Speriamo. Ma in Lombardia il 112 esiste da un pezzo, è nato male anche lì come denunciato anche da sindacato degli agenti e continua a non funzionare bene. Ne ho avuto la conferma il 19 gennaio: per segnalare un semplice copertone sulla corsia di sorpasso della trafficatissima A4 tra Milano e Bergamo, ci sono voluti ben 2 minuti e 43 secondi. Ed, essendo “del mestiere” sapevo come segnalare rapidamente la mia posizione: il tempo è stato perso per girare la chiamata alla sala operativa della Stradale, al cui operatore ho dovuto ripetere per intero la segnalazione. Infatti, contrariamente a quel che dovrebbe essere, la centrale del numero unico è di fatto solo un calll center: non c’è personale specializzato che appartiene a tutti gli organi di polizia e soccorso. E meno male che, essendo a Milano, questo call center ha abbastanza linee per girare velocemente le chiamate: in città piccole, le linee sono poche.
Fossi stato meno pratico della materia o semplicemente spaventato per l’accaduto, avremmo perso più tempo e reso più difficile il lavoro agli agenti che poi sono intervenuti a rimuovere il copertone. Anche perché sarebbe emerso l’altro problema del numero unico “all’italiana”: il sistema non è ancora in grado di localizzare in automatico il chiamante, che quindi deve spiegare bene all’operatore dove si trova (se ci riesce). La localizzazione è un altro requisito che la Ue richiede.
Perché tutto questo? In prima battuta, viene da pensare alle solite gelosie tra corpi di polizia. Ma tre anni fa Report declinò questo concetto in modo più preciso: non è solo una questione di prestigio e attribuzioni, ma anche di potere nel bandire appalti che non di rado si rivelano poco trasparenti o quantomeno gestiti in modo poco professionale. E così entriamo anche nel territorio dei possibili interessi personali: per la prima esperienza di numero unico in Italia, voluta a Varese dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni (varesino), i colleghi di Report hanno parlato di legami tra il partito dello stesso Maroni, i vertici dell’agenzia regionale di gestione delle emergenze (Areu) e una società privata, la Beta80. La risposta potete vederla voi stessi nel filmato: smentite non troppo convinte. E, vedendo i risultati dell’operazione, pare anche di capire il perché.
Alla luce di tutto questo, che senso ha questa scritta creata sabato dalla Regione (presidente Maroni) al Pirellone?