Un’inchiesta su barriere di cemento degradate sull’Autosole, un incidente con due morti in un tratto con barriere di metallo vecchie che due anni è stato oggetto di un appalto per la loro sostituzione (ma evidentemente si è deciso di mantenerle lì dove sono). Notizie della settimana scorsa, che confermano i dubbi emersi meno di un anno fa con la strage di Acqualonga: 40 morti per un bus senza freni precipitato da un viadotto oggetto dello stesso appalto (l’unica differenza è che in questo caso la barriera era di cemento).
I fili conduttori di queste tre situazioni sono due:
– la vetustà delle barriere;
– la loro sostituzione o riqualificazione, che fa parte degli impegni presi da Autostrade per l’Italia al momento di ottenere la proroga della concessione ed è un parametro in base al quale si decidono anche i rincari annuali dei pedaggi.
Nel caso di Acqualonga, la società rivendica il diritto di scegliere quali barriere sostituire, quali “restaurare” e quali mantenere tali e quali. Non è improbabile che risponda così anche per quanto riguarda gli altri due tratti finiti in questi giorni sulle cronache e nei fascicoli della magistratura. Ciò significa che, quando leggiamo degli impegni d’investimento sulle barriere presi e mantenuti, la percentuale di avanzamento dei lavori va valutata non come quota di barriere rinnovata, ma come quota di chilometri esaminata, decidendo caso per caso se intervenire o no.
Se le condizioni delle barriere preesistenti fossero state in gran parte buone e se la selezione di quelle su cui intervenire fosse rigorosa, nulla da dire. Ma proprio gli episodi di cui stiamo parlando autorizzano più di un dubbio. E allora c’è bisogno di controlli pubblici severi e norme vincolanti.
Come sappiamo, i controlli pubblici sono carenti.
Quanto alle norme, di fatto abbiamo solo l’articolo 14 del Codice della strada, che obbliga il gestore a tenere sempre tutto in ordine. Una previsione tanto assoluta quanto vaga, per cui sta al magistrato e ai suoi periti dimostrare le colpe del gestore e a quest’ultimo difendersi con altre perizie. Alla fine, tutto si traduce in una battaglia su quanto gravi ed evitabili siano certe trascuratezze e su quanto esse abbiano davvero influito sull’esito di un incidente. Così l’incertezza del risultato delle indagini e dell’eventuale processo è notevole.
Da anni i costruttori di barriere chiedono regole più precise. Sostanzialmente due:
– obbligo di montare i loro prodotti in modo conforme al progetto e ai crash-test di omologazione (quindi curando anche che il terreno o il cemento cui le barriere sono fissate non abbiano degrado o anomalie rispetto alle condizioni di prova);
– l’attribuzione a ciascuna barriera di una scadenza tassativa, arrivata la quale occorre esaminare il prodotto e “revisionarlo” o sostituirlo.
Al momento, non sembra che il ministero delle Infrastrutture vada in questa direzione. Riuscirà almeno a garantire più controlli? In tempo di spending review, è molto improbabile. “In compenso”, nelle ultime settimane è stata varata l’ennesima riorganizzazione del ministero, nella quale sembra che la vigilanza su strade e autostrade sia affidata a due direzioni che potrebbero pestarsi i piedi l’una con l’altra. Anche se siamo tutti abbastanza adulti da sapere che, alla fine, molto dipende dall’attivismo e dall’indipendenza (dalla politica e dai poteri forti della finanza cui i gestori autostradali sono legati) delle persone nominate ai vertici delle direzioni.