Brutta storia quella tirata fuori lunedì scorso da Report sui filtri antiparticolato da montare in retrofit su auto diesel e camionGuarda il servizio di Report. Nel pieno dei blocchi del traffico 2007-2008 causa polveri sottili, i produttori li indicavano come la soluzione per chi non voleva o poteva cambiare l’auto e premevano sulla Motorizzazione perché li omologasse. Un passo necessario per annotarne il montaggio sulla carta di circolazione e quindi l’esenzione dai blocchi (se il Comune l’avesse prevista anche per i retrofit). Si sa da anni che quella corsa all’omologazione aveva aspetti non chiari. Report, non patendo la schiavitù delle notizie di giornata che opprime il 90% dei media, ha avuto il tempo e la tenacia per approfondire. E ora ci racconta che la Motorizzazione avrebbe omesso alcuni test nel processo di omologazione dei dispositivi Pirelli e Iveco.
Ovviamente sarà la magistratura a darci risposte, con perizie e sentenze che potremo commentare. Ma anche all’epoca dei fatti ci si chiedeva quanto potessero essere efficaci questi filtri non progettati assieme al motore e necessariamente sprovvisti di dispositivi di rigenerazione che ne prevenissero l’intasamento. Girava anche voce che gli intasamenti non fossero affatto rari e che ai meccanici venisse informalmente raccomandato di risolverli bucando il filtro. E cresceva l’impressione che il caso-filtri fosse un business concertato con la politica, grazie a divieti di circolazione molto estesi per i mezzi pesanti in Lombardia decisi dalla Giunta di un Roberto Formigoni la cui immagine di onestà vacillava già all’epoca.
Certo, i produttori negavano. Ma colpiva la gran messe di omologazioni ottenute su svariati veicoli da due soli costruttori di filtri, mentre gli altri arrancavano. Era difficile distinguere il legittimo sforzo economico per lanciare adeguatamente un bel prodotto da quello per ingraziarsi stampa e istituzioni. Ed era difficile trovare risposte definitive: ci vuole la forza economica di commissionare test complessi a organismi davvero indipendenti e poi bisognava aspettare che sul mercato questi dispositivi si diffondessero, per avere le determinanti testimonianze di chi li aveva pagati e li stava utilizzando.
Questi ultimi riscontri saranno ormai difficili da avere: sul mercato i filtri non hanno certo sfondato. Nell’attesa che la magistratura ci dimostri di avere più forze di noi e di saperle usare, sembra quindi restare l’impressione di tanto rumore per nulla.
Ma c’è dell’altro. Report ha imbastito gran parte del servizio sulla storia di una delle aziende che non sono riuscite ad ottenere l’omologazione. È l’altra faccia di questa storiaccia. Ancora più complicata, se possibile: si parla di un abbattimento del particolato ottenuto non con un filtro, ma irradiando onde che modificherebbero la composizione molecolare dei gas di scarico. Un metodo che ricorda altri dispositivi rivelatisi inaffidabili e su cui non sono mai arrivate conferme qualificate. Però un Centro prova della Motorizzazione aveva eseguito test favorevoli, che la direzione generale della Motorizzazione ha bocciato.
A completare il quadro, la teoria di una minoranza scientifica secondo cui i filtri veri e propri sarebbero addirittura dannosi perché non farebbero altro che scindere il particolato in micropolveri ancora più sottili, quindi in grado di penetrare ancor più profondamente nei polmoni.
Anche qui mancano conferme da parte della scienza ufficiale, che però è tacciata di omertà perché ci sarebbero troppi interessi eccellenti in ballo, tra investimenti di multinazionali e incentivi pubblici alla ricerca.
L’unica certezza è che questo è uno dei tanti campi di frontiera, in cui la scienza non ha ancora scoperto abbastanza e siamo destinati a sentire varie teorie ancora per anni prima di avere almeno alcune risposte definitive. Nel frattempo, sentiremo ancora tutto e il suo contrario. Avete presente il metodo stamina?