La sera della vigilia di Natale erano tutti a dire che proprio ci voleva qualcosa che lasciasse le lobby a bocca asciutta, almeno per una volta. Così i media, nel loro conformismo che scatta pure quando c'è da indignarsi, hanno commentato il colpo di scena col quale il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha costretto il Governo a ritirare il decreto salva-Roma, gonfiato da troppe aggiunte volute dal Parlamento sotto la pressione di svariate lobby. Ma, a ben guardare, questa mossa per molti aspetti sacrosanta ha fatto anche danni: alcuni colpi di mano confluiti nel salva-Roma servivano a rimediare a precedenti colpi di mano. Sempre di roba di lobby si tratta, ma bisogna saper distinguere. Non che ci siano lobby buone e lobby cattive: semplicemente, assodato che la maggior parte delle volte un provvedimento passa solo se dietro c'è almeno una lobby (meglio se potente, perché alcune contano relativamente poco), si tratta di vedere se nel caso specifico gli interessi di quest'ultima coincidono in tutto in parte con quelli della collettività.
Dunque, nel caso del salva-Roma, due erano le cose che nel nostro settore potevano essere classificate come d'interesse generale (e che ora sono curioso di vedere se saranno recuperate nel decreto milleproroghe che – nelle promesse fatte dal Governo subito dopo la bacchettata di Napolitano – dovrebbe rimediare):
– l'uso graduale di lampade a led ad accensione immediata nei semafori;
– il ripristino, sia pure temporaneo, delle categorie specialistiche nelle gare d'appalto.
Quest'ultima vicenda è molto tecnica, ma cerco di spiegarvela all'essenziale, così si capisce perché è importante e come giocano gli interessi lobbistici contrapposti.
In sostanza, a giugno il Consiglio di Stato aveva fatto saltare i vincoli esistenti nei subappalti di lavori di costruzione. Sono, appunto, le categorie specialistiche: un'impresa dimostra che sa eseguire un certo tipo di lavoro, consegue la relativa qualifica e così potrà vedersi affidati lavori di questo tipo. Abolendo le categorie specialistiche (cosa ratificata dal Capo dello Stato col Dpr del 30 ottobre scorso, pubblicato a fine novembre), liberi tutti: si apre la porta al subappalto selvaggio, col rischio che i lavori siano fatti male come abbiamo scoperto negli ultimi mesi su varie autostrade. E questi sono solo piccoli esempi sparsi. Pensate piuttosto a cosa potrebbe accadere in una galleria della Variante di Valico dell'Autosole (che ha già avuto i suoi problemi, di cui poco si parla a livello nazionale) o in una delle tante opere in costruzione per il tanto celebrato Expo 2015 di Milano. In generale, si "liberalizza" sotto la pressione delle emergenza (oggi l'Expo, domani un'alluvione, dopodomani un terremoto), ma non se ne viene mai a capo.
Non ci sono prove di pressioni e accordi sottobanco, ma è incontrovertibile che il Consiglio di Stato è intervenuto per un ricorso dei grandi costruttori (gli stessi che reclamano a gran voce sui giornali regole certe) e ha dato ragione a loro. A scapito delle tante piccole imprese che operano nei subappalti cercando di fare le cose con coscienza. Entrambi questi insiemi di imprese hanno una lobby di riferimento. Ma capite bene in questo caso dove sia l'interesse generale.
In mezzo a queste lobby, ci sarebbero i sindacati. Che tanto strepitano contro il subappalto perché nasconde spesso lo sfruttamento dei lavoratori. Ma su questa vicenda non hanno fiatato. Come se avessero interesse a non farlo. Perchè?
Per cui è interessato ad approfondire, qui di seguito riporto i termini tecnici della questione.
Il parere 1314 del 26 giugno scorso del Consiglio di Stato tocca tre articoli del regolamento 207/10 di attuazione del Codice dei contratti pubblici (tutta una serie di altre contestazioni sono state, viceversa, rigettate), che sono stati riformati nel momento in cui il parere è stato recepito con Dpr da parte del presidente della Repubblica (il quale era tenuto a recepirlo, anche se senza alcun vincolo temporale).
Questa riforma ha creato un vuoto normativo che inciderà sulla qualificazione delle imprese che parteciperanno agli appalti, ma anche sulla condotta delle stesse atazioni appaltanti che non sapranno più come risolvere una serie di questioni.
Di seguito, articoli e principali problematicità.
Articolo 85 Dpr 207/10 comma 1, lettera b) , numeri 2) e 3)
Questo articolo prevede che l’appaltatore che subappalta delle lavorazioni possa poi usare i lavori che lui non ha eseguito (perché subappaltati) per qualificarsi a sua volta nella specifica lavorazione non eseguita.
La norma è discutibile perché contraria ad ogni logica: se non faccio una cosa non posso, dopo un po’ di gare, candidarmi a farla in autonomia perché “organizzare i fattori della produzione” ed affidare ad altri il compito di fare non equivale ad imparare a svolgere una attività, con ricadute anche sulla sicurezza. Più ragionevole appariva la versione precedente nel Dpr 554/99 diceva che i lavori subappaltati potevano essere usati, dall’appaltatore principale, solo per il mantenimento della categoria prevalente (che l’appaltatore ha già).
Un altro “micro-paletto” nell’uso dei lavori altrui era nel fatto che, se l’appaltatore subappaltava fino al 30% o al 40% della categoria specialistica (a seconda delle lavorazioni), poteva usare tutti i lavori subappaltati per la sua futura qualificazione. Se, viceversa, l’appaltatore subappaltava oltre il 30% o 40%, interveniva il “micro-paletto” che riduceva al solo 10% la quantità di lavori subappaltati che egli poteva poi usare per qualificarsi a sua volta in quella categoria.
Il parere del Consiglio di Stato ha cassato questa “limitazione”, per disparità di trattamento. A seguito del recepimento del parere, potrebbe accadere che, quale che sia la percentuale di lavori subappaltati, essi possano essere usati in toto per la futura qualificazione, con ciò aggravando una situazione già insostenibile.
Articolo 107, comma 2
E’ la norma che prevede l’elencazione di una serie di lavorazioni, cosiddette “superspecialistiche” che, quando presenti nell’appalto in quantità massicce (15% del valore dell’appalto), fanno scattare un meccanismo di “salvaguardia” che ne limita la subappaltabilità (articolo 37, comma 11, Codice dei contratti), con conseguente obbligo per l’appaltatore o di eseguire in proprio o di costituire una Ati (associazione temporanea di imprese). La norma prevede anche il pagamento diretto per lo specialista in subappalto.
La ratio di questo diverso trattamento rispetto ad altre categorie specialistiche risiede nel fatto che si tratta di lavorazioni di rilevante complessità tecnica o di notevole contenuto tecnologico.
Le lavorazioni elencate nell’articolo 107 sono 24, sono state ritenute, nel Parere del Consiglio di Stato, troppo numerose e, nel dubbio, è stato annullato tutto l’elenco. Quindi, in tutti i bandi di gara in cui compariranno questi tipi di lavorazione non si applicheranno più le previsioni dell’articolo 37 comma 11, con conseguente subappalto libero, nessun pagamento diretto per i superspecialisti e nessuna “induzione” all’Ati che, sola, potrebbe garantire, in questo caso, la migliore esecuzione possibile dell’opera (una associazione preventiva tra imprese è certamente di maggiore garanzia per tutti, la scelta, invece, di un “partner-subappaltatore” successiva all’aggiudicazione viene, di norma, impostata solo sul prezzo più basso).
Articolo 109, comma 2
Le lavorazioni previste in un appalto pubblico si distinguono in Opere Generali (OG) ed Opere Speciali (OS).
All’interno delle OS (che chiameremo per migliore comprensione “lavorazioni specialistiche semplici”) vi sono alcune lavorazioni che sono, in ragione della loro rilevanza, a “qualificazione obbligatoria”. La “qualificazione obbligatoria” comporta che allorquando una di queste lavorazioni superi il 10% del valore dell’appalto o i 150.000 euro (soglia di “scorporabilità” di una categoria), essa dovrà essere realizzata solo da imprese qualificate
(Le lavorazioni superspecialistiche menzionate al punto di prima sono un “di cui” di questa più vasta categoria di OS)
Al primo comma dell’articolo 109 si fissa il criterio secondo il quale una impresa generale può effettuare tutte le lavorazioni afferenti la sua categoria (OG) ed anche le lavorazioni specialistiche (OS) “semplici”o le altre lavorazioni OG (pur in assenza di una sua specifica qualificazione).
Se però l’appaltatore principale (impresa generale OG) deve eseguire un appalto in cui una OS a “qualificazione obbligatoria” o altra OG (tutte le OG sono a qualificazione obbligatoria) supera il 10% o i 150.000 euro, esso non può eseguire in proprio, se privo della qualificazione, ma deve necessariamente subappaltare ad una impresa qualificata (in questo caso anche il 100% della lavorazione) -comma 2 dell’articolo 109-.
Quest’ultima previsione, che si pone sempre nell’ottica della corretta esecuzione affidata a chi ne ha le reali capacità, è stata contestata dal parere del Consiglio di Stato in base ad una considerazione numerica che evidenzia una illogicità della stessa: se il numero complessivo delle lavorazioni OG e OS è pari a 52 e se 46 di esse sono a qualificazione obbligatoria, la libertà di “fare tutto” in capo alle imprese generali (articolo 109, comma 1) di fatto è pesantemente limitata da tutte le eccezioni previste dal comma 2 dello stesso articolo 109.
L’osservazione è certamente fondata, ma forse il problema non è tanto nella formulazione della norma quanto nella ratio da cui parte: non si può dire che l’impresa generale fa tutto senza averne la capacità.
Ognuno deve fare ciò per cui è qualificato.
Che all’impresa generale spetti il compito di coordinare i lavori complessivi è questione fuori di dubbio, già ampiamente ricompensata dalla sua posizione dominante anche dal punto di vista economico, che però debba poter fare tutto senza saperlo fare è altra questione.
Comunque, con il parere e il Dpr in questione è stato annullato questo elenco (Allegato A del regolamento cui l’articolo 109, comma 2 si riferisce), con conseguente libertà dell’impresa appaltatrice di non subappaltare necessariamente ad imprese qualificate ma di usare ogni altra forma di lavoro (lavoro autonomo, comando di personale, noleggio eccetera) in grado di portare comunque, ed in proprio, alla conclusione dell’appalto senza alcuna garanzia di qualità o di legalità (aggiramento di tutte le norme sul subappalto, nessun obbligo di dichiarare il subappalto con conseguente possibilità di infiltrazioni malavitose, uso di un mix di fattori a scapito di sicurezza, qualità, garanzia di opera a regola d’arte eccetera).
In conclusione: dieci anni di sviluppo economico, di crescita imprenditoriale, di affinamento di capacità specialistiche e superspecialistiche andate in fumo e pesante rafforzamento dell’attività di intermediazione nel settore delle costruzione supportata da una minima, se non nulla, “capacità di fare”.
AGGIORNAMENTO DELL'8 GENNAIO 2014
All'ultimo momento, il Governo ci ha messo una pezza: l'articolo 3, comma 9 del Dl 151/2013 ha tenuto in vita le vecchie specializzazioni, in attesa di una riforma. Per la quale concede tempo fino al 30 settembre 2014 (anche se, come si sa, le proroghe sono uno sport nazionale molto diffuso).