L’estate scorsa abbiamo lanciato l’allarme sulla “privatizzazione degli incidenti”, che il Governo stava per varare. Segnalammo che, per i sinistri con danni a sole cose, sarebbe stato vietato alle forze dell’ordine effettuare le rilevazioni. Anche quando è il cittadino a chiamare la pattuglia: chi proprio avesse voluto un intervento avrebbe dovuto chiamare ausiliari ad hoc, alle dipendenze di aziende che guardacaso si stanno strutturando in questi mesi e fanno molto per mostrarsi sia in pubblico sia nei dintorni del Viminale. Così, di fronte alle pubbliche perplessità, proprio al ministero dell’Interno si convinsero a stralciare questa “privatizzazione” dalla norma sul pubblico impiego (diventata legge proprio ieri), in cui l’avevano inserita.
Però, a sentire le storie di tutti i giorni, quasi ci si convince che la “privatizzazione” era necessaria. Perché le compagnie assicuratrici spesso decidono di non fare il loro mestiere.
Infatti, come mi segnala Paoblog, l’altro ieri a Mi Manda Raitre è stato portato il caso di un automobilista tamponato da un pirata della strada e poi non risarcito: la compagnia ha sostenuto che l’urto avrebbe potuto anche essere provocato da una manovra sbagliata dell’automobilista stesso, che avrebbe portato la vettura contro un muro.
Lodevole zelo antitruffa? Ci piacerebbe se fosse solo questo. Però poi si scopre che la compagnia non ha nemmeno mandato un perito a fare un riscontro. E sono proprio le perizie a fare la vera attività antitruffa, quella che dà il risarcimento agli onesti e lo nega ai disonesti (facendoli pure denunciare, come vorrebbe il Dl liberalizzazioni del gennaio 2012).
Non è il primo caso di mancata perizia che mi viene all’orecchio. Tra gli addetti ai lavori c’è la convinzione che il non fare le perizie sia una delle poche forme di risparmio che le compagnie stanno riuscendo a perseguire. Col risultato, appunto, che si penalizzano gli onesti e si aprono portoni ai disonesti.