Sul Sole-24 Ore di oggi a pagina 18 trovate una mia inchiesta in cui cerco di fare luce su cosa c'è dietro i guard-rail autostradali e di spiegare che ruolo potrebbero aver avuto le barriere nella tragedia del viadotto Acqualonga. Dietro questa pagina ci sono 12 anni di attenzione al tema e due settimane di nottate passate a cercar riscontri.
Ognuno può leggere e trarre le conclusioni che crede. Ma una cosa voglio dirla. In queste settimane, ho percepito che tra gli addetti ai lavori si stava diffondendo l'idea che io stessi prendendo di mira i guard-rail di calcestruzzo come quelli del viadotto Acqualonga, perché sarei meglio disposto verso quelli di metallo. Nulla di più sbagliato: come tutti, so che entrambi i tipi di barriera hanno pregi e difetti e che sta al progettista della strada scegliere di volta in volta ciò che è meglio, tenendo conto delle condizioni ambientali e – si spera solo fino a un certo punto – di quelle economiche. Tenendosi lontano dai condizionamenti di un mercato di cui l'opinione pubblica finora ha potuto sapere troppo poco in rapporto alla sicurezza che c'è in gioco.