Oggi sui giornali campeggia Ghost Car, la prima operazione organizzata a tappeto su tutto il territorio nazionale contro i prestanome che s’intestano veicoli coprendo malviventi (nel 5% dei casi si arriva alla criminalità organizzata) ed evasori di Rc auto, bollo e pedaggi autostradali. Su www.ilsole24ore.com trovate tutte le cifre (interessanti i dati divisi per regione), mentre sulle pagine di Norme e tributi del Sole 24 Ore spiego i dettagli tecnico-giuridici della questione. Che dire di più? In realtà ce n’è, perché questa è una vicenda emblematica.
Infatti, che il marcio ci fosse era noto da molti anni agli addetti ai lavori. Magari non a tutti e non completamente. Magari ora la crisi ha esasperato certi fenomeni. Però si sapeva e abbiamo dovuto aspettare decenni prima che le intestazioni fittizie fossero espressamente vietate dal Codice della strada (con la riforma del 2010), con un emendamento infilato senza nemmeno troppi clamori quando invece avrebbero dovuto suonare le fanfare. Sì, in questo Paese quasi ci si vergogna quando si combatte il malaffare. Soprattutto quello diffuso.
Poi però succede l’imprevisto. Ci si sarebbe potuti trincerare dietro i formalismi, perché l’articolo 94-bis del Codice della strada prevede che per punire le intestazioni fittizie e radiare d’ufficio dal Pra i veicoli dei prestanome vadano emanati decreti ministeriali attuativi (complicati da fare, se bisogna considerare tutti i possibili cavilli invocabili dai furboni di turno). In fondo, sinora un’altra radiazione d’ufficio (quella prevista da vent’anni per chi non paga il bollo per tre anni) si è fatta una volta sola (nel 1999) perché nel frattempo il federalismo ha portato alle Regioni le competenze sul bollo e la severità è svanita d’incanto (complici anche le difficoltà tecniche di applicazione dei controlli, per una burocrazia sgangherata come quella italiana).
Dunque, che cosa è successo ora di tanto sovversivo da far applicare le norme contro le intestazioni fittizie ad “appena” tre anni dalla loro introduzione? Probabilmente, è stata una questione personale. Perché dallo scorso autunno la Polizia stradale è diretta da Vittorio Rizzi. Uno che con le multe non ha mai avuto a che fare, ma con le investigazioni sì. E per questo si è accorto tante volte che dietro un reato, anche grave, ci può essere un veicolo intestato a un prestanome. Così Rizzi ha spinto sull’applicazione dell’articolo 94-bis.
Così, per una volta, è successo che lo Stato ha giocato a fare lo Stato. Ora speriamo che i cavilli non vanifichino tutto.