L’Italia è la culla del diritto, si dice. Eppure è anche il Paese dove, se una multa palesemente errata la prendi in una località, te la cavi con una telefonata e una mail all’ufficio da cui dipende l’agente che ha sbagliato; se invece la prendi altrove, sei costretto a presentare un ricorso. È capitato anche alla povera moglie di un disabile marchigiano, che aveva dovuto accompagnare il marito a Milano per curarsi ed è incappata nelle telecamere dell’Area C (grazie a Paoblog per la segnalazione).
In un Paese normale, la signora non dovrebbe muovere un dito per difendersi: esisterebbe un database nazionale dei permessi per disabili, cui chi gestisce rilevatori automatici di accessi abusivo è sempre collegato per un far inviare multe a sproposito (con relative spese di notifica). Nell’Italia che funziona meglio, basta inviare una copia del permesso per far annullare il verbale. Nell’Italia più Italia, ci vuole un ricorso. Forse dipende dagli orientamenti di ciascuna Prefettura (che dovrebbe invece essere un organo di coordinamento che garantisca l’applicazione uniforme delle leggi per conto del Governo).
Però non è vero che presentare un ricorso, se il verbale arriva da una località lontana, faccia spendere più soldi della multa, come ha invece raccontato il Corriere della Sera a proposito della signora marchigiana multata a Milano: quando una multa è palesemente infondata, non occorre rivolgersi al giudice di pace (cosa che di fatto obbliga a sobbarcarsi almeno un viaggio). Basta un ricorso al prefetto, che decide senza richiedere la presenza dell’interessato. Dunque, si manda il ricorso al prefetto per raccomandata (preferibilmente spedendolo al comando da cui dipende l’agente accertatori, così si risparmia tempo) e via.