Stavolta divaghiamo un po' per aria: mentre finalmente arriva sulle pagine dei giornali un tema che già da mesi preoccupa gli addetti ai lavori (i conti in profondo rosso dell'Alitalia, con la cordata di imprenditori "patrioti" che a gennaio vedrà scadere l'impegno firmato con Berlusconi a mentenere le loro quote nella compagnia e si prevede che svenderanno ad Air France o che lo Stato – cioè noi – torni a farsi carico del problema), la stessa Alitalia celebra l'uscita dalla flotta di quello che è stato un aereo-bandiera. Parlo dell'Md 80, di cui in settimana è stato dismesso (con un volo Roma-Venezia accompagnato dalle Frecce tricolori, nella foto) anche l'ultimo esemplare rimasto della novantina che per vent'anni ha costituito il fulcro dei collegamenti nazionali e internazionali di medio raggio dell'Alitalia. Il primo Md 80 era entrato nella flotta del gruppo Alitalia 29 anni fa (era fine '83 e il modello era commercializzato dal '79) e da allora nessuno degli esemplari della compagnia di bandiera ha avuto incidenti rilevanti. Tutt'altra storia rispetto ai DC 9, da cui l'Md 80 deriva, protagonisti di più di una sciagura negli anni Settanta. Il merito del miglioramento è dovuto certamente al progresso dei sistemi di gestione del traffico aereo, ma anche l'affidabilità del velivolo ha avuto il suo ruolo: l'Md 80 era noto come un "mulo" e solo la rumorosità dei motori (per la quale si pagano più tasse di atterraggio) e i loro consumi di combustibile lo hanno messo fuori gioco.
A proposito di rumorosità, all'interno nelle ultime file era infernale, almeno al decollo. E il posto 37 K (ultima fila, tra due sedili) era il peggiore. Ma il DC 9 era ancora più rumoroso. E nelle file anteriori l'Md 80 era un paradiso: al decollo solo un lieve fischio, sembrava che i motori non ci fossero per nulla. Uguali per tutti, invece, erano le poltrone sottili, con tessuto Trussardi verde a strisce che andava molto nell'Italia "da bere" degli anni Ottanta; una decina di anni dopo, sugli esemplari "nati" con livrea Alitalia e per questo destinati anche a voli internazionali, comparvero le prime file con poltrone verdi a tinta unita ma soprattutto enorni, per la classe business. E in quelle file si perse un sedile, scendendo dalla caratteristica configurazione a cinque (due sedili a sinistra, A e B, e tre a destra, J, K e L) a quella a quattro (due e due).
Emozionalmente è una perdita anche per me.
Ricordo di aver letto gli articoli sull'ingresso in flotta dei primi Md 80 che avevo 16 anni e sognavo di volarci. Non solo perché volare, come guidare e viaggiare in genere, mi è sempre piaciuto. Influì anche la voglia di diventare grande e di entrare così nella classe dirigente del Paese, per la quale nutrivo all'epoca un'ingenua ammirazione, pur nella mia sospettosità da adoloscente. E gli aerei con la "A" stilizzata sul timone, forti del loro quasi-monopolio che c'era all'epoca, erano un simbolo di quella classe dirigente di origine contadina e/o arretrata ma ben vestita, profumata e indaffarata (protagonista della crescita del Paese, pur con tutti i suoi limiti, che paghiamo oggi) che avevo intravisto in viaggio nell'82, al mio primo volo (all'epoca c'erano ancora i Dc 9).
Ripresi un aereo nell'87 e mi emozionai a vedere che anche per il mio misero Bari-Roma (noi meridionali abbiamo spesso il complesso d'inferiorità rispetto al Nord e quindi siamo portati a pensare che ci facciano viaggiare sui mezzi più vecchi) c'era un Md 80. Me lo mangiai con gli occhi. Allora si poteva: a Bari ci s'imbarcava senza bus (e i finger sarebbero arrivati solo 18 anni dopo), camminando per un po' a piedi sul piazzale. Trovavo emozionante la livrea bianco-azzurra-blu, i colori dell'Ati (la controllata per i trasporti interni, poi fusa nel '94), il cui logo sulla fiancata era enorme. E poi l'Md 80, come il Dc 9, ti faceva salire anche dalla coda, con quella scaletta che sembrava farti entrare fin nel suo ventre rumoroso in mezzo a zaffate di kerosene, a un passo dai due motori piazzati proprio lì dietro, attaccati non alle ali ma alla fusoliera per dare più stabilità.
Mi faceva pensare a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in trasferta di lavoro da Palermo a Roma o ad altrove. E oggi mi fa arrabbiare chi propone di togliere il loro nome dall'intestazione dell'aeroporto di Palermo.
Poi diventai adulto e iniziai a viaggiare per lavoro. La livrea, dopo la fusione del '94, era diventata quella classica Alitalia per tutti. Ancora qualche anno e gli Md 80 sarebbero diventati il mio pensatoio e il luogo delle emozioni: ci facevo il pendolare settimanale tra Bari e Milano e quell'ora e mezzo a telefonino staccato mi faceva riflettere, assaporare tante cose, recuperare arretrati di lettura o di lavoro, secondo il momento. Imparai a riconoscerli uno per uno, dal nome di battesimo (tutti di città e qualche paese importante, ovviamente dell'Italia) e dalle marche (l'equivalente del numero di targa). Grazie a un sito dedicato, ne scoprii anche l'età. Così, quando vedevo uno di loro, mi ricordavo dello stato d'animo che avevo in un particolare viaggio fatto su di lui.
Mi sentivo orgoglioso lì sopra. Orgoglioso di quello che mi ero costruito, senza rubare e senza arrivare a prendere stipendi di cospicuità che nel frattempo avevo scoperto essere imbarazzante, date le cose che facevano e fanno molte persone che guadagnano tanto.
Continuai ad essere orgoglioso sull'Md 80 anche quando per me l'andare per aria era una delle poche consolazioni a una vita che si era fatta amara. Era anche un modo per prendermi una tregua, breve come un volo nazionale. Nel frattempo, era il 2005-2006, s'iniziava a vedere su qualche esemplare la livrea Alitalia attuale (come nella foto sopra), con la striscia verde sulla fiancata più bassa e sottile, il logo della compagnia con le lettere inclinate e la "A" sul timone più grossa. Il muso diventò bianco, senza più il cerchio nero al centro. All'interno, le cappelliere guadagnarono un profilo arrotondato che dava sensazione di maggiore spazio, anche perché sul loro fianco non c'era pià la striscia marrone coi numeri delle file, che faceva molto anni Ottanta. Sembravano aerei nuovi, ma erano sempre gli stessi. Le poche modifiche tecniche in tanti anni sono state dal 1990 sistemi di navigazione migliori contro le collisioni in volo (Tcas) e dal 1987 la coda tronca ("a cacciavite", non più "a cono"), aerodinamicamente più efficiente.
Dall'inizio del 2009, anno della privatizzazione dell'Alitalia, continuavo a volare tanto, ma gli appuntamenti con l'Md 80 diventarono sempre più rari. Infatti, la privatizzazione comportò l'immediata dismissione della maggior parte degli Md 80 e il progressivo diffondersi degli Airbus A320 in versione "eco" (ordinati da Air One e confluiti nella nuova Alitalia con la fusione quasi a spese dello Stato che salvò anche Air One dai debiti per un rinnovo di flotta probabilmente azzardato). Sono più comodi e hanno cappelliere più grandi (grazie alla fusoliera più larga, mica per altro), che minimizzano il solito problema di quando l'aereo è pieno di gente con tanto bagaglio a mano (l'Alitalia, da buona compagnia di bandiera italiana, ha una tradizione di tolleranza, ma poi a bordo si finisce per litigare). Mi ci sento a casa come sugli Md 80: a occhi chiusi trovo il mio posto assegnato, accendo la luce di lettura e regolo la bocchetta della climatizzazione.
Sarà che non sono più adolescente, ma il fascino dell'Md 80 era un'altra cosa.