Ha ragione Pino Bruno: nel suo blog, il collega della Rai dice che non ci ha capito nulla del mio articolo sulla patente che scade il giorno del compleanno. Parte della colpa è mia: ingessato nei formalismi e negli spazi tipici di quando si scrive sulla carta stampata, non ho scritto esplicitamente che la data di scadenza riportata sulle patenti attuali (se rilasciate o rinnovate prima del 10 febbraio scorso) è quella che fa fede e non può essere diversamente, visto che non c'è altro modo per venirne a capo durante un controllo su strada. Ma il resto della colpa è della norma e di chi l'ha voluta applicare anche alla patente.
Ora che siamo "tra intimi", slegati dai vincoli della carta stampata, posso spiegarmi.
Il pasticcio è nato dal fatto che il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, ha voluto estendere alla patente la proroga della scadenza fino al compleanno del titolare, prevista dal decreto semplificazioni (Dl 5/12) per i documenti d'identità e riconoscimento. La patente ha solo in parte questa caratteristica, la sua scadenza è più legata a normative tecniche europee e al Codice della strada, che dovrebbe prevalere. Ma il ministro ha "forzato" l'interpretazione. Perché?
Partiamo dal fatto che ormai il problema della scadenza della patente potrebbe essere risolto avvisando gli interessati anche con un sms o una e-mail, come peraltro già accade sul Portale dell'automobilista (curato dal ministero delle Infrastrutture) e su altri siti privati. O con una lettera a casa, il cui costo è minimo e con un po' di creatività contabile potrebbe essere inglobato nell'attuale tariffa per il rinnovo della patente. Dunque, le soluzioni non mancano.
A questo punto, l'interpretazione di Patroni Griffi potrebbe essere dovuta alla smania di dare quanta più pubblicità a una misura di semplificazione su cui il Governo ha scelto di puntare per migliorare la sua immagine. Non è la prima volta (pensiamo al predecessore di Patroni Griffi, Renato Brunetta) né sarà l'ultima. Tutto legittimo, per carità. Ma è altrettanto legittimo che i cittadini s'interroghino sulla reale portata di semplificazioni spesso più sbandierate che effettive.
Capita più spesso di quanto i giornali facciano notare. Prendiamo la decertificazione, cioè il divieto di richiedere al cittadino un certificato che un ufficio della pubblica amministrazione può sostituire con una richiesta a un altro ufficio che avrebbe dovuto rilasciare il certificato medesimo. Va benissimo evitare che il cittadino vada in due uffici invece che uno solo. Ma ci siamo chiesti se davvero non c'è una controindicazione? A me pare che ci possa essere: interpellando un'altra amministrazione, l'ufficio impiegherà tempo. E si rischia che una pratica rapida rallenti. Siamo sicuri che così si faccia un servizio migliore a cittadini e imprese, che spesso hanno urgenza?