Non si sa ancora se "Young Europe" sarà distribuito normalmente nelle sale. Non perché non sia un film degno di andarci, ma perché quello della distribuzione cinematografica "è un mondo difficile", dove c'è poco spazio per opere di giovani che non mettono sul piatto tanti soldi (anzi, lo hanno girato in un mese con tanti apporti gratuiti o quasi e se l'è montato personalmente il regista, Matteo Vicino) o la certezza di grandi incassi al botteghino. Così per adesso "Young Europe" resterà nell'ambito per il quale è stato pensato: le proiezioni nelle scuole, nell'ambito della campagna Icaro che lo ha partorito. Peccato: io l'ho visto al cinema ieri sera alla prima italiana organizzata per gli addetti ai lavori e devo dire – da profano, non essendo attrezzato per fare il critico cinematografico – che ho passato una serata piacevole come quelle poche volte in cui al cinema posso andarci nel tempo libero. Infatti, è una pellicola che scorre via bene: densa ma digeribile.
Non era facile farla così. Per tanti motivi. Fermiamoci ai primi due. Il primo è che non è facile fare arte (gradevole, per giunta) parlando di certi argomenti cupi e distanti dal sentimento comune: per la cultura dominanti anche tra tanta gente di rango e livello, gli incidenti stradali sono visti solo come fatalità inevitabili e quindi le iniziative per evitarli "sono tutte noiose". Il secondo motivo è che non è facile far convivere le esigenze artistiche con quelle della Polizia stradale che deve portare alla gente il suo messaggio istituzionale e degli psicologi universitari che devono dare un contenuto convincente a questo messaggio. Senza contare la Fondazione Ania, che ha contribuito all'iniziativa.
La sensazione è che si sia riusciti a conciliare tutto, lasciando fuori anche cose di solito inevitabili come gelosie, piccoli e grandi giochi di potere ed eccessi di zelo. Come quello che avrebbe potuto tranquillamente far tagliare una frase rivelatrice e pesante per i tempi in cui il film è stato girato (quelli del berlusconismo degli ultimi due anni, arroccato contro gli attacchi che si moltiplicavano di giorno in giorno), in cui il protagonista più negativo del film, un imprenditore rampantino, spiega alla segretaria che in Italia per quelli come lui è possibile non pagare i fornitori, perché è un Paese in cui "c'è la libertà".
Già questa scena vi dice che di incidenti si parla solo di striscio. Ma se ne parla in un modo che lascia il segno. Perché si vede o s'intuisce quasi tutto ciò che c'è attorno (manca solo il male che non di rado possono fare le carenze della strada, rendendo mortali incidenti anche banali: un tema scabroso). Non solo alcol, droga e velocità (come spesso abbiamo stupidamente insegnato alla gente negli ultimi anni, semplificando e deresponsabilizzandola sugli altri comportamenti), ma anche sfortuna (ma di quelle evitabili rispettando le regole e guidando con la dovuta attenzione). Gli incidenti hanno intorno soprattutto la disperazione di chi resta, preannunciata dal respiro trattenuto dai poliziotti mandati ad avvisare i parenti delle vittime (poliziotti veri anche nel film e bravi, perché recitavano una parte che devono sostenere nella realtà ogni giorno, pesantissima nonostante l'abitudine, perché lo strazio di un parente è sempre diverso e sempre lacerante, più che vedere il cadavere della vittima). Cose già note, ma un conto è leggerle in questo blog o – più spesso – nel sito dell'Asaps, ben altro conto è vederle in un paio di brevi scene ben fatte come quelle di "Young Europe".
Brevi scene perché il film è veloce, fatto apposta per evitare che i ragazzi si annoino (quando succede, oggi è peggio di ieri perché possono evadere facilmente pur restando seduti, con lo smartphone). Quindi ritmo e tanta (forse troppa, a volte) musica, di quella fatta per i giovani e di quella che sentono i loro genitori 40-50enni. Sì, perché si parla anche di rapporto genitori-figli, di divertimento e piacere (non necessariamente alcol e droga) e di tanto altro. Di vita, insomma. Senza cadere negli eccessi opposti che sono dietro l'angolo in operazioni del genere: bacchettonismo e volgarità. I messaggi istituzionali della Polizia si vedono esplicitamente solo un paio di volte, l'assertività degli psicologi-insegnanti pure. In mezzo, tanti altri messaggi, ma non riconoscibili come tali perché presentati come quelli ci lasciano gli artisti nei film belli.
Per questo "Young Europe" merita di arrivare nelle sale.