Per chi non lo sapesse, da quasi un anno il Comune di Roma non si chiama più così. Lo hanno voluto chiamare Roma Capitale, in ossequio al particolare status della città (Dlgs 156/10, in attuazione del troncone 2009 del federalismo fiscale). Io non discuto sulla necessità di dare maggior autonomia amministrativa all'amministrazione locale: quella è roba da esperti. Discuto sul fatto che si sia data visibilità al cambiamento, toccando anche la denominazione dell'ente. Perché operazioni del genere - oltre a costare soldi per cambiare carte intestate, targhe degli uffici, diciture sulle auto di servizio eccetera – creano pasticci. Come quello che, secondo l'Adoc, potrebbe portare ad annullare addirittura 800mila verbali, per la bella cifra di 48 milioni di euro.
Con le stime delle associazioni dei consumatori occorre andarci piamo, ma il problema comunque si pone: non hanno cambiato l'intestazione dei verbali, che quindi arrivano a nome di un ente ormai inesistente. E che, per giunta, in udienza sui ricorsi presentati dai cittadini si costituisce col suo vero nome attuale (Roma Capitale, appunto), per cui formalmente non è chiaro chi difenda. Per questo motivo, il presidente dell'Unagipa ha sentito il dovere di avvertire l'amministrazione (Scarica Roma Capitale). Che dovrebbe cambiare subito i moduli e rinotificare con la denominazione corretta i verbali di infrazioni commesse prima di 90 giorni fa (termine oltre il quale scatta la "prescrizione" e quindi la rinotifica arriverebbe fuori tempo massimo).
Non che i giudici di pace siano molto inclini a dare ascolto a quanto dice un loro collega, per quanto rappresentante di categoria: l'esperienza dice che più frequentemente "preferiscono sbagliare da soli". Ma ciò non toglie che più di qualcuno potrebbe effettivamente iniziare ad annullare verbali. A quel punto, sarà più colpa del giudice che bada al cavillo o della politica che si è fatta l'ennesimo spot campanilistico cambiando nome al Comune di Roma. E come la mettiamo con le responsabilità degli uffici amministrativi che, di fronte allo spot deciso dalla politica, non ne hanno tenuto in debito conto le conseguenze sugli atti che il loro ente emana ogni giorno? Senza contare che – pare – il cambio di denominazione del corpo di polizia municipale nasconde pure una guerra di tipo sindacale tra vigili e amministrazione (o tra parti degli uni e parte dell'altra, in un Paese ormai ridotto alla guerra tra schegge).