Io non so che cosa potremo leggere tra poche ore sui giornali in ricordo di Roberto Morrione. Immagino che i colleghi più orientati a sinistra scriveranno di un grande direttore, infaticabile, rigoroso e coraggioso; sulle testate più orientate a destra magari troveremo qualche fredda riga presa pari pari dalle agenzie. Poco fa, intanto, i "suoi" ragazzi di Rainews 24 gli hanno dedicato uno spazio ritirando fuori una vicenda indicativa del suo coraggio: le inchieste che spinse a fare su certi retroscena che legavano Gladio, la P2, la Cia e l'assassinio del premier svedese Olof Palme. Roba andata in onda nel 1990 sul Tg1, di cui Morrione era vicedirettore e dal quale fu prontamente rimosso.
Forse tra qualche ora ci verranno ricordate altre vicende delicate di cui lui si era occupato. Ma saranno sempre cose da massimi sistemi: mafia, servizi segreti… Io Morrione non l'ho mai conosciuto di persona e non voglio entrare in cose del genere, tanto più che ci sono di mezzo la politica e altri poteri che influenzano le nomine dei direttori di giornale. Ma desidero ricordare Morrione almeno sotto qualche aspetto, perché ho affrontato un'altra vicenda delicata (quella delle Lancia Dedra "cancerogene") assieme a uno dei "suoi". E ho potuto apprezzare la libertà, la fiducia e la copertura che questo direttore dava al suo cronista impegnato con me nell'inchiesta. Le ho apprezzate tanto anche perché non posso dire che in quelli stessi giorni il mio direttore dell'epoca si stesse comportando con me allo stesso modo.
Fummo quasi gli unici giornalisti a voler ascoltare e verificare la denuncia di un ex-funzionario commerciale Fiat ammalatosi di cancro ai polmoni perché – si sospettava – aveva guidato per anni vetture come la Dedra, che avevano – e questo fu invece accertato - infiltrazioni di gas di scarico nell'abitacolo, a causa di un difetto aerodinamico di progettazione. Io potei scriverne su "Quattroruote" solo dopo che "La Repubblica", un sabato di fine aprile 2002 (quindi con la redazione decimata dal ponte), vi dedicò una pagina e i nostri lettori ci chiesero legittimamente che cosa ne sapessimo. In effetti, qualcosa sapevamo: un mese prima, durante le ferie, avevo incontrato quell'ex-funzionario per un intero pomeriggio, fotocopiando tutte le sue carte. Solo che il mio direttore mi disse di aver parlato con Torino e mi chiese di soprassedere. Apprezzai la sincerità (in seguito mi sono imbattuto in persone con modi di non-fare più raffinati), obiettai che non ci avremmo fatto una gran figura con i lettori e così ottenni di scrivere una paginetta di giornale, la più tecnica e asettica possibile.
Per scrivere, proseguii la mia inchiesta e incrociai appunto il collega di Rainews 24, Ezio Cerasi. Lui andava a briglia sciolta e mi parlava del suo direttore, Morrione, che lo incitava ad andare avanti, che aveva probabilmente ricevuto anche lui telefonate da Torino. Ma il massimo effetto che queste telefonate avevano avuto era stato un rinvio della messa in onda, forse in attesa di uno sviluppo della vicenda adombrato ma non verificatosi. Ricordo che Ezio mi descriveva altre inchieste su temi ben più eclatanti, nelle quali il suo direttore non faceva una piega, dicendo sempre no alle pressioni. Anche per quel motivo la sua poltrona vacillava in continuazione. Non altrettanto potevo raccontargli io della mia realtà lavorativa. Anzi, dovetti spiegargli che due anni prima avevo dovuto fare acrobazie poco ortodosse per pubblicare la notizia di un difetto di alcuni cambi Fiat, in una vicenda che portò anche alla sostituzione del direttore di "Quattroruote".
Sono passati nove anni e mi sento invecchiato del doppio rispetto ad allora. Domina il web, che da un lato mi consente di esprimermi con questa libertà ma dall'altro pullula di notizie messe con un semplice "copia e incolla" di comunicati ufficiali (non importa se insulsi e/o sbagliati, bisogna macinare notizie in continuazione e a basso costo). E io mi stupisco di come Morrione, abituato a battagliare con mafia e servizi segreti, avesse la forza di non cedere nemmeno su un caso come quello della Dedra, che dal suo punto di vista poteva essere tranquillamente considerato "minore". Questo è il ricordo che conserverò di lui.
P.S.: a chi volesse sapere come mai non nomino il mio direttore dell'epoca, rispondo che non è solo una questione di bon ton tra colleghi. C'è anche il fatto che – come disse Giovanni Falcone a proposito del giudice di Cassazione Corrado Carnevale, all'epoca chiamato "ammazzasentenze" – il problema non è lui, ma il fatto che anche "dopo di lui ne verrà un altro" come lui. Siamo tutti prodotti del sistema in cui viviamo. Troppi di noi dicono sempre sì. Una pratica spesso necessaria per ambire ai posti di maggior prestigio.