Signore e signori, ecco a voi un altro episodio della serie "Ma come si può credere alla segnaletica italiana?". Stavolta è una storia più avvincente del solito, perché ambientata in un contesto "insospettabile": l'autostrada. Che, non fosse'altro che per il pedaggio, è ben più curata della viabilità ordinaria e quindi ci attendiamo sempre il massimo. E invece…
E invece eccoci sulla A16 Napoli-Canosa, nel tratto appenninico. Un tratto tempestato di poco credibili limiti di velocità a 80 all'ora, alcuni "congeniti" (curve strettine, pendenze, viadotti senza corsia di emergenza, gallerie non proprio all'ultimo grido) e altri aggiunti nei mesi freddi (da quando Autostrade per l'Italia lascia aperti alcuni by-pass nel guard-rail per velocizzare al massimo i movimenti degli spazzaneve e "per policy" – mi adatto all'aziendalese imperante – ci mette un bel limite a 80 per schivare conseguenze legali in caso di invasione di carreggiata opposta favorita dal "buco" nella barriera). Se sommiamo pure i numerosi cantieri (stanno rifacendo i guard-rail anche qui, finalmente), otteniamo una babele di limiti di velocità. Nella quale si sono persi pure coloro che quei limiti li hanno apposti.
Andiamo infatti ai chilometri 53 e 63: nemmeno il tempo di un sospiro di sollievo per il segnale di "fine 80 all'ora" e subito dopo un altro bel limite a 80. In un caso, non c'è nemmeno il tempo per accelerare; nell'altro in teoria si può, ma si entra in galleria e subito dopo c'è la nuova limitazione.
Pare evidente che chi ha messo quei segnali non ha provato nemmeno a percorrere la strada rispettando le prescrizioni che egli stesso ha materialmente imposto. Distrazione? Può darsi. Ma c'è un'altra ipotesi: che siano arrivate disposizioni da qualcuno che non si è mosso dalla scrivania del suo ufficio e che chi invece era "sul campo" abbia eseguito burocraticamente.
Distrazione e burocrazia fanno male alla sicurezza. Non solo nel caso specifico, ma anche aggiungono l'ennesima mina alla credibilità della segnaletica.