Qualche mese fa, per puro caso, sono stato accompagnato in un aeroporto da un autista al servizio di uno degli uomini più potenti d'Italia. Gran brava persona (l'autista), affabile e tranquillo nella guida. Lontano anni luce dallo stereotipo del conducente arrogante che ci viene in mente ogni volta che vediamo un'auto blu (peraltro, spesso è il potente passeggero ad aizzare l'autista, come racconta l'ex-manager Fiat Giorgio Garuzzo nel suo libri di memorie a propositi di un Cesare Romiti dipinto come molto meno mite di quello che si sta accreditando in questi mesi rilasciando dichiarazioni sul caso-Marchionne). Ma si vedeva chiaramente che non sapeva nemmeno qual è la posizione corretta di guida, senza la quale una manovra di emergenza diventa impossibile a priori. E allora mi chiedevo come mai il potente, che di certo avrebbe potuto allungargli in un attimo un rotolo di banconote e dirgli di andare a fare un bel corso di guida, "tollerasse" tutto ciò. Visto che in ballo c'è la sua stessa vita (non solo riguardo alla prevenzione degli incidenti, ma pure in caso di tentativi di rapina, sequestro o aggressione), mi sono risposto che è probabilmente questione di ignoranza (anche se il potente in questione non è estraneo al mondo dei trasporti su strada).
Qualche giorno fa, poi, ho avuto la conferma che il problema non è solo di quel potente (che opera nel settore privato): ho potuto parlare con un po' di autisti riuniti al congresso del Siar (il sindacato che riunisce i conducenti di auto di amministrazioni ed enti pubblici) e ho scoperto che i corsi di guida sono una rarità. Più che altro, li si usa per gratificare un dipendente fedele, non tanto per tutelare la propria stessa vita. Pare che nella pubblica amministrazione si badi più a tutelarsi da responsabilità, per esempio vietando di far salire a bordo estranei. Così in situazioni d'emergenza (come accadde nel terremoto dell'Abruzzo due anni fa) chi si dà da fare per portare al sicuro persone bisognose rischia in proprio. Quando invece c'è da chiedere al ministro, all'assessore o all'alto dirigente di allacciarsi le cinture, la difficoltà è palese: si è di fronte a una persona che ha potere gerarchico sul povero autista.
Forse tutto sarebbe più facile se agli autisti venisse riconosciuto il ruolo specifico che svolgono, dando loro tutte le possibilità di formarsi e poteri analoghi a quelli di un comandante di nave o aeroplano, cui poi potrebbero legittimamente conseguire tutte le responsabilità in caso d'incidente. Ma non sarà così. Prima di tutto perché come al solito il problema non sembra essere la sicurezza, ma la possibilità di non incorrere in sanzioni. E così siamo stati a un passo dal concedere anche agli autisti al servizio delle pubbliche amministrazioni la patente di servizio, su cui scaricare le infrazioni commesse per lavoro, salvando la licenza di guida privata. Il solito espediente già usato per tenere buone altre categorie (come i camionisti) che hanno un potere di ricatto sulla politica.
Ma la patente di servizio per le auto blu è stata fatta sparire precipitosamente, dopo la bufera mediatica che si scatenò l'anno scorso alla notizia che stava andando in porto. Da allora, la politica non ne più voluto sapere né della patente di servizio né degli stessi autisti: sono cose che scatenano i detrattori del Palazzo, i cosiddetti "qualunquisti". Così, a maggior ragione, i corsi di guida diventano sempre più un miraggio. E, dove mancano gli autisti, "basta" riconvertire un dipendente del loro stesso livello retributivo (praticamente un fattorino): gli si fa ottenere l'idoneità alla guida alla Motorizzazione, con un test troppo simile al classico giro dell'isolato sufficiente per ottenere la patente.
Si può obiettare che le auto blu costano troppo e quindi vanno eliminate: presidenti, ministri, assessori e alti dirigenti vari facciano come noi comuni mortali, guidando di persona e prendendo i mezzi pubblici quando possibile. A parte i problemi di sicurezza che sorgono (questa è gente che sta sempre al telefono e di certo non smette quando guida), la cosa non funziona comunque. Occorrerebbe che ci fosse un serio obbligo di rendicontare le spese (e invece spesso i rimborsi per l'uso del mezzo proprio scattano con una semplice autocertificazione, così qualcuno riesce anche a raddoppiare lo stipendio). E si dovrebbe presentare un piano a lungo termine, che preveda (ma in modo credibile e qui li voglio) l'eliminazione di tanti posti di lavoro quanti sono quelli degli attuali autisti. Altrimenti avremo il paradosso di aumentare i costi per i rimborsi ma rinunciando ai risparmia sul personale che l'operazione consentirebbe.