Stavolta ci ha pensato la tecnologia installata dai privati a far recuperare (a Napoli) alcune supercar che erano state rubate (in Spagna) e sarebbero state riciclate tranquillamente in Asia. Ma non si può tacere che invece la tecnologia non viene utilizzata abbastanza dalle istituzioni, per cui rubare continua a essere un'attività conveniente. La questione non viene mai a galla, ma una traccia ufficiale si può trovare negli atti del Consiglio europeo del 2 e 3 dicembre scorsi, quando sono state approvate delle conclusioni sulla materia.
Il nocciolo della faccenda è questo. Ci si aspetterebbe che, quando un veicolo viene portato da un Paese all'altro e immatricolato lì, tra i controlli che le autorità locali devono espletare prima di rilasciare targhe e documenti ci sia anche la verifica che non sia un mezzo rubato. Tanto più che esiste un trattato del 29 giugno 2000 (quasi 11 anni fa) che ha istituito Eucaris, la banca dati europea su veicoli e patenti. E invece tutto questo non accade, per cui alla fine il compito di ladri e riciclatori viene facilitato dall'assenza delle frontiere interne all'Unione. Ecco perché nelle conclusioni approvate il Consiglio sollecita a darsi una mossa, considerando anche che in Europa il tasso di recupero dei veicoli rubati è sceso dal 70% del 2006 al 50% del 2008. Come dire che le bande si sono organizzate tanto bene da superare i "problemi" legati alla diffusione di antifurti sempre più tecnologici che puntano sulla segnalazione di dove si trova il mezzo.
E tutto questo al netto delle negligenze volute, frutto di corruzione. Come quelle scoperte l'altro giorno alla Motorizzazione di Palermo, il cui schema mi ricorda tanti altri casi accaduti in tante altre sedi italiane.