A volte mi viene da ridere quando do notizia di una sentenza, di una circolare, di un parere ufficiale o di qualsiasi altro atto dia un'interpretazione a un problema giuridico. Perché sono praticamente certo che, anche se non ne sono a conoscenza, ci sarà da qualche parte un altro documento altrettanto ufficiale che dice il contrario. Me lo dice l'esperienza. E me lo ha confermato la storia della decurtazione dei punti che, secondo il ministero dell'Interno, non scatta quando l'interessato presenta ricorso e omette di rispondere entro i 60 giorni di legge alla richiesta a indicare chi fosse alla guida al momento dell'infrazione.
Ne avevo dato notizia la settimana scorsa sul Sole-24 Ore, tirando fuori una nota con cui la Prefettura di Bologna dà conto di una risposta datale dal ministero dell'Interno a questa specifica domanda. Il tema è spinoso, perché parliamo di una situazione frequente: molti pensano che il ricorso sospenda i 60 giorni dati per comunicare i dati del trasgressore e poi si beccano una multa supplementare di 263 euro per non averlo fatto, A prescindere dall'esito del ricorso.
Dunque, secondo il parere ministeriale questa multa è illegittima. Beati loro. Perchè nel frattempo una gentile avvocatessa di Vittorio Veneto (Treviso) mi ha informato che l'anno scorso su questa materia si era pronunciata addirittura la Consulta (ordinanza 306/2009, che mi era sconosciuta, lo dico apertamente), dicendo l'esatto opposto del ministero. Anzi, a questo punto, è il ministero che ha detto l'opposto, essendosi pronunciato dopo la Consulta.
Qui sta l'aspetto grave della vicenda: come può un'istituzione autorevole come il ministero dell'Interno fornire un parere difforme rispetto a quello della Consulta, le cui decisioni sono praticamente legge? Credo che un ruolo lo giochi l'enorme complessità del nostro sistema, che fa sì che – a cercare bene – si possa trovare tutto e il suo contrario. La complessità non è dovuta solo alle norme, ma anche all'affastellamento di competenze: per esempio, in questo caso sono pressoché certo che, se la questione fosse stata affrontata da un altro ufficio dello stesso ministero, l'esito sarebbe stato diverso.
Per questo, diffidate soprattutto delle aziende che – quando chiedete loro se il prodotto che vendono è legale – sventolano un parere ministeriale. Guardate sempre se questo parere viene da un ufficio che si occupa specificamente del problema che sollevate. Sempreché vi lascino guardare con attenzione il documento. Se non la fanno, diffidate: può voler dire che dalla lettura potrebbero emergere elementi da cui si vede che l'azienda non è proprio in buona fede.