Chissà se se ne sono già accorti. La depenalizzazione dei casi di ebbrezza lieve appena introdotta dalla riforma del Codice della strada (legge 120/10) potrebbe essere un "buon affare" per loro. Parlo dei Comuni. Cioè delle istituzioni che sono le più attive di tutte sul fronte della vigilanza stradale (si stima che rilevino oltre metà degli incidenti verbalizzati in Italia), ma hanno appena il 7% di tutti gli etilometri presenti in tutto il Paese (il dato è della Fondazione Caracciolo dell'Aci, che ha fatto un'indagine diretta). Dati che si spiegano soprattutto col fatto che la guida in stato di ebbrezza, essendo un reato, comporta multe che vanno allo Stato, quindi quel 7% è fatto da amministrazioni "eroiche" che cercano di fare sicurezza spendendo soldi e senza avere un ritorno in cassa. Ora che almeno la prima fascia di violazioni è stata depenalizzata, si entra nel normale meccanismo del Codice della strada, che assegna i soldi all'ente che accerta l'infrazione (anche se con la riforma cambiano un po' di cose, lo stiamo spiegando sul Sole-24 Ore in questi giorni e vi scriverò qualcosa anche qui se avrò tempo).
A prima vista, l'occasione è interessante per fare un altro po' di cassa: la sanzione depenalizzata è una bella sberla da 500 euro. Non è detto che ci sia convenienza: rispetto ai controlli di velocità (tutto automatico, alta produttività), con l'alcol c'è da sudare parecchio. Occorre organizzare pattuglioni, per portare a casa meno verbali, col rischio poi che una fetta dell'incasso vada comunque allo Stato (sopra 0,8 grammi/litro si ritorna nel penale). Ma, quantomeno, gli incassi potrebbero servire a coprire i costi di accertamento, inducendo qualche sindaco a prendere l'iniziativa: si sa che anche Comuni che rifiutano di far cassa con le multe hanno comunque bisogno di farne un bel po' affinché la vigilanza stradale si autofinanzi, senza pesare sui conti.