La garanzia ipertrasparente: bella e impossibile. Soprattutto sull’usato degli italiani

Una settimana fa, parlando delle nuove regole Ue su vendita e assistenza dei veicoli in vigore da martedì scorso (http://mauriziocaprino.blog.ilsole24ore.com/2010/05/la-ue-mette-i-concessionari-ancora-pi%C3%B9-in-concorrenza-e-le-garanzie.html#tp), rilanciavo la proposta Adiconsum di rivoluzionare il concetto di garanzia: far dichiarare al costruttore per ciascuna parte della vettura il tempo medio di durata per la quale è stata progettata senza accusare inconvenienti (Mtbf). Dunque, non più un sistema basato sul principio "fortunato chi rompe prima" (periodo fisso – due anni, per i beni acquistati nuovi – nel quale chi subisce un guasto non paga, mentre chi ha lo stesso identico problema il giorno dopo la scedenza della copertura deve arrangiarsi o sperare nella magnanimità del costruttore).

Bello, vero? Tanto bello da aver attirato l'occhio vigile di Nicola Giardino, che ha trascorso una vita nel mondo della componentistica auto ad alto livello e ora lo commenta sui giornali. Secondo lui, un sistema come l'Mtbf non può reggere (Scarica Mtbf Giardino): potrebbe andare bene solo sul mercato dell'usato, dove potrebbe fare da base per la certificazione del veicolo da parte di officine specializzate e indipendenti. Bella idea. Ma si scontra con l'allergia degli italiani alla trasparenza.

Infatti da noi vendere un'auto usata è come stipulare il rogito di una casa: nascondiamo sempre qualcosa, anche quando non c'è nulla da nascondere. Così non abbiamo piacere a farci fare le pulci da un esperto sullo stato della nostra vettura, nemmeno quando sappiamo di averla trattata benissimo nel corso della sua vita al nostro servizio. Non ci credete? E allora sappiate che ci sono fior di organizzazioni internazionali che all'estero (soprattutto in Olanda) fanno affari d'oro con le certificazioni, ma in Italia collezionano flop clamorosi. Addirittura una di queste organizzazioni voleva promozionarsi a una grande fiera dell'usato, effettuando gratis alcune certificazioni (che costano centinaia di euro). Ma non ha trovato nessuno disposto a farsi guardare nell'auto. Perché tutte le auto in esposizione avevano magagne o perché ne facciamo una questione di principio?

Non saprei. Certo, non tranquillizza l'esperienza raccontatami da Giorgio Marcon a febbraio: cercava una Ford Ka prima serie usata e ha trovato tanti esemplari vecchi (anche una dozzina d'anni) ma con sulle spalle appena 50mila chilometri o poco più. Per carità, tutto plausibile: sono auto prevalentemente da città, quindi una percorrenza così limitata non è così poco credibile. Ma Giorgio – giustamente – è diffidente e ha chiesto ai venditori di mettere per iscritto il chilometraggio riportato dallo strumento di bordo e lì sono cominciati i problemi: i venditori hanno capito di avere di fronte uno che poteva far valere i propri diritti in caso di guasto futuro e al limite anche denunciarli penalmente. Così c'era chi glissava, chi non era sicuro, chi ammetteva che la percorrenza effettiva era più alta..