Nelle cronache sulle modifiche al Codice della strada in corso (Ddl 1720) trovate solo un accenno fugace. Ma quella della ritargatura dei motorini che oggi circolano col vecchio targhino è una storia da raccontare. Perché è interessante in sé: era stata prevista già nel 2002, se l'erano rimangiata nel 2006 dopo un po' di rinvii e adesso evidentemente si sono convinti che va fatta. Ma questa è una storia da raccontare anche perché forse ci apre un altro possibile squarcio sulla rete di relazioni nei palazzi romani, capace di fare e disfare un po' tutto (con le punte oggi a tutti note della Protezione civile e dintorni).
Dunque, tutto inizia a gennaio 2002: il giorno 15, Pietro Lunardi riesce ad emanare il Dlgs 9, per attuare la miriade di novità previste dalla legge delega 85/01 (l'unica riforma del Codice attuale fatta senza decreti legge, almeno nominalmente). Tra queste novità, oltre alla patente a punti, c'era il nuovo sistema di targatura di ciclomotori e quadricicli leggeri. Da anni se ne sentiva l'esigenza: con i targhini personali, poco leggibili e spostabili da un motorino all'altro senza che ci fosse uno straccio di archivio ad annotare l'abbinamento proprietario-veicolo, succedeva di tutto (scippi e rapine in motorino impuniti, furti di ciclomotori poi facilissimi da riciclare, problemi assicurativi eccetera). Il Dlgs 9/02 aveva in calce una data di entrata in vigore: 1° gennaio 2003. Una previsione ottimistica: le strutture della Motorizzazione non erano pronte per tutte le novità del Dlgs, per cui cominciarono vari rinvii. Per le nuove targhe si andò al 1° luglio 2004.
Ma anche questa data si rivelò solo teorica: in realtà si partì solo nel giugno 2006, dopo un imbarazzante periodo di proroga tacita del vecchio sistema (non si sapeva se fossero applicabili almeno le sanzioni prima previste per chi violava quest'ultimo). E sotto forma di modalità d'immatricolazione dei soli esemplari nuovi, lasciando tutto invariato per quelli già circolanti. Stavolta le lentezze della Motorizzazione c'entravano poco. Ci si misero una perplessità formale del Dagl (tenete a mente questo nome, sta per dipartimento Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio), seguite da quelle di alcuni parlamentari e associazioni sull'opportunità di imporre ai proprietari dei mezzi già in circolazione il costo della ritargatura. Risultato: un incredibile sistema ibrido, poco affidabile e difficile da gestire (cosa chiara agli esperti fin da subito), tanto che ora col Ddl 1720 si dice basta.
Possibile che tutto questo balletto sia stato messo su per una perplessità formale e la paura di far pagare alla gente una cinquantina di euro? Tra gli addetti ai lavori non c'è molta gente disposta a crederci: certo, alcune tendenze irrazionali della politica aiutano, ma non si ritiene che da sole siano determinanti. Nell'ambiente, infatti, circola ben altra storia. Quella di una lobby che non vedeva di buon occhio il nuovo sistema di targatura perché potenzialmente troppo efficiente: niente più passaggi di proprietà da far autenticare e da far registrare su due archivi, ma una semplice annotazione alla Motorizzazione. Insomma, un sistema che avrebbe potuto dare una prova tanto positiva da far balenare a qualcuno l'idea di applicarlo anche all'auto, soppiantando l'Aci-Pra. E in effetti qualche mese dopo la sua entrata in vigore (febbraio 2007) l'idea di abolire il Pra venne (anzi, tornò, perché fu il suo secondo tentativo dopo quello del 2000) a Pierluigi Bersani, all'epoca ministro delle Attività produttive, che la inserì nella seconda delle sue "lenzuolate" sulle liberalizzazioni (da cui fu poi stralciata, fino a morire assieme al Governo Prodi).
Coincidenze? Può darsi: in queste cose è tutto così impalpabile. Così come può essere una coincidenza anche la perplessità a suo tempo espressa dal Dagl. Ma vale la pena segnalare che quell'ufficio è diretto dal consigliere di Stato Claudio Zucchelli, che in casa Aci non è certo un estraneo: ha presieduto il Tribunale nazionale di appello (organismo di giustizia sportiva automobilistica, con gettone di presenza di 250 euro) e ha fatto parte del servizio di controllo interno dal 2005 al 2009 (45mila euro di compenso annuo lordo). Certo, Zucchelli ha avuto molti altri incarichi, in vari contesti (come l'Unire e i ministeri degli Esteri e della Funzione pubblica). Tanto da non far sembrare strano il fatto che – hanno riferito Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 24 maggio (pagina 3) – è stato proprio lui a mettere a punto l'ultimo decreto legislativo che ammetteva per i dipendenti pubblici la possibilità di far parte di collegi arbitrali (come quello sulla lite Astaldi-Anas, di cui Zucchelli ha patto parte e al quale andarono in tutto 1,4 milioni). Insomma, a volte avere molti incarichi può paradossalmente aiutare a tenersi indipendenti da tutti. Ma i fatti qualche dubbio lo lasciano.