Se c’è lo smog non è colpa del sindaco. Ma i poteri sono suoi

Se nelle città c'è troppo smog e si sforano i limiti, non è colpa del sindaco: occorrono misure coordinate a più livelli, anche nazionali. Per questo – si leggeva nelle cronache di ieri – i giudici di Firenze hanno assolto gli ex-amministratori locali dall'accusa di non aver tutelato la salute pubblica per non aver preso misure idonee (leggete "drastiche") a ridurre la concentrazione di polveri sottile e così far rientrare gli sforamenti dei limiti Ue sotto la soglia dei 35 giorni all'anno, stabilita dalla stessa Ue. Dal punto di vista scientifico, ciò ha molto senso: il particolato, visto che è sottilissimo, si sposta molto nell'aria e capita che venga prodotto in un luogo e finisca in un altro dalle caratteristiche sfortunate (come l'essere in una conca non ventilata e chiusa in parte dalle montagne), dove ristagna. Ma dal punto di vista del Codice della strada i conti tornano meno.


Infatti, l'articolo 7 (quello che fissa i poteri di regolamentazione della circolazione nei centri abitati) mette ben pochi limiti ai Comuni. Fu una scelta precisa: la norma fu scritta nel '91-'92, cioè quando il fenomeno-Lega stava cominciando a imporsi all'attenzione nazionale e quindi il federalismo entrò nell'agenda quotidiana della politica (poi è sintomatico che ci stia rimanendo per vent'anni senza trovare un assetto definitivo, ma questa è un'altra storia e molti miei colleghi sanno raccontarla meglio di me). Dunque, anche le forze politiche tradizionali assecondarono questa tendenza e – tra le altre cose – la trasfusero nel Codice della strada.

Il caso dello smog dimostra invece che le responsabilità devono essere collegiali. E potremmo parlare di altre emergenze, come quelle meteo. In alcune regioni, c'è un coordinamento: penso, per esempio, alla pianificazione delle misure antismog in Lombardia. Ma ciò legato più alla casualità.